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Tutte le critiche di Aiad (Confindustria) a Francia e Germania sulla difesa

Ecco come Parigi e Berlino ostacolano la Difesa europea secondo Carlo Festucci, segretario generale di Aiad, l’associazione confindustriale che rappresenta le imprese italiane della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza

Una vera difesa comune europea è irrealizzabile, visto che né Francia né Germania sono disposte a cedere la loro sovranità in materia.

Ne è convinto Carlo Festucci, segretario generale di Aiad, l’associazione confindustriale che rappresenta le imprese italiane della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza, come ribadito in un recente articolo di Repubblica.

Mentre ​l’Unione europea sta intensificando il dibattito sulla difesa comune, spinta da un contesto geopolitico instabile e dalla necessità di ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti, ​Parigi e Berlino condividono l’obiettivo di rafforzare la difesa europea, ma adottano approcci differenti, influenzati dalle rispettive priorità strategiche e industriali.​

Tutti i dettagli.

PERCHÉ FRANCIA E GERMANIA SONO I VERI OSTACOLI ALLA DIFESA UE

“Una Difesa Ue non può esistere anche perché Francia e Germania non rinunceranno mai alla loro autonomia”, ha evidenziato il segretario generale dell’Aiad. Interpellato da Repubblica, Festucci ha osservato che “l’unica possibilità è adattare il modello della Nato in chiave europea, spingendo per adottare sistemi d’arma interoperabili e interscambiabili, usando poi contemporaneamente i fondi dell’Unione come leva per portare le aziende verso programmi comuni”.

LE AZIENDE DELLA DIFESA SONO PRONTE A RISPONDERE ALLA CHIAMATA ALLE ARMI SECONDO AIAD

Sempre nell’articolo dell’inserto “Affari&Finanza” del quotidiano Repubblica, Festucci ha ribadito l’urgenza di mettere le imprese italiane in condizione di rispondere rapidamente alle esigenze nazionali, evidenziando la necessità di superare gli ostacoli strutturali che limitano la capacità produttiva del settore.

E il giornalista Di Feo cita un esempio nell’articolo: “Mbda è sommersa di ordini – il solo portafoglio italiano è arrivato a 6,5 miliardi – e finora non è riuscita a incrementare in maniera rilevante la produzione: le nuove commesse rischiano di aspettare anni e questo cozza contro la pretesa di consegne celeri. Già prima dell’invasione dell’Ucraina, Mbda ha lanciato un programma di potenziamento degli impianti di missili difensivi, ampliando quello campano degli Aster e aprendo una seconda linea per i Camm-Er.”

LA SVEGLIA SUONATA ALLA POLITICA ITALIANA

E la colpa spesso è attribuibile alla burocrazia tricolore che rallenta e addirittura frena la proattività delle industrie nazionali.

“Le imprese devono essere messe in condizione di rispondere rapidamente alle esigenze nazionali – precisa Festucci di Aiad – il Libro Bianco Ue annuncia un provvedimento per semplificare le autorizzazioni nell’ampliare gli stabilimenti o costruirne di nuovi. Ma io credo che serva di più: c’è la necessità di un patto tra le aziende e lo Stato ossia il ministero della Difesa, che dia garanzie agli imprenditori mettendoli in condizione di investire: certezze di lungo periodo sui fondi e sui programmi che permettano di ordinare i materiali e raddoppiare le linee produttive”.

Già in occasione di un’audizione al Senato il 4 marzo, il segretario generale dell’Aiad insieme al presidente Giuseppe Cossiga hanno evidenziato la necessità di rafforzare la competitività dell’industria italiana della difesa nel contesto europeo, sottolineando l’importanza di una strategia industriale comune per affrontare le sfide geopolitiche e industriali.

IL RUOLO DELLE PMI E DEI COLOSSI NAZIONALI

Inoltre, riguardo alla trama del tessuto imprenditoriale italiano nel comparto difesa, il segretario generale dell’Aiad rileva a Repubblica che “le Pmi da sole non sono in grado di andare da nessuna parte, è la grande impresa a fare gli accordi sui programmi e trascina le piccole. Ma ci sono tante nicchie di eccellenza da salvaguardare”.

Senza dimenticare che per le “Per le piccole e medie imprese del settore della difesa in Italia, accedere ai finanziamenti delle banche è davvero complicato. Spesso gli istituti di credito inseriscono nei loro statuti dei vincoli di ‘eticità’ che di fatto impediscono alle società di poter essere finanziate”, aveva già notato qualche mese al Foglio sempre Festucci.

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