I paesi membri dell’Unione europea hanno approvato oggi la proposta della Commissione di imporre nuovi dazi sui veicoli elettrici importati dalla Cina. La decisione – presa con il voto contrario della Germania e con quello favorevole dell’Italia – arriva dopo una lunga indagine che ha stabilito che i produttori automobilistici cinesi ricevono aiuti statali, grazie ai quali possono vendere i loro modelli a prezzi molto più vantaggiosi della concorrenza occidentale.
L’anno scorso la quota dei marchi cinesi nel mercato europeo della mobilità elettrica era del 6,9 per cento; nel 2022 era del 4,1 per cento e nel 2020 dell’1,1 per cento. Dal 2035 sarà vietata l’immatricolazione di vetture a benzina e gasolio nell’Unione.
NUOVI DAZI SULLE AUTO ELETTRICHE CINESI PER CINQUE ANNI
Le tariffe europee dovrebbero dunque permettere di riequilibrare – almeno parzialmente: il vantaggio di costo cinese è dato anche dal primato manifatturiero sulle batterie, ad esempio – la situazione. Le tariffe vanno dal 7,8 per cento al 35,3 per cento, a seconda del grado di partecipazione delle case cinesi all’indagine, in aggiunta all’aliquota standard del 10 per cento. Resteranno in vigore per cinque anni e non interesseranno soltanto le aziende cinesi, come Byd e Saic, ma anche quelle di nazioni terze che hanno una base manifatturiera in Cina, come la statunitense Tesla.
La Cina ha già minacciato ritorsioni sulle importazioni di alcuni liquori (come il cognac francese) e di auto dalla grossa cilindrata. Ha anche avviato delle indagini anti-dumping anche sulla carne di maiale e sui latticini provenienti dall’Unione europea.
CHI HA VOTATO COSA
Come ha scritto il Financial Times, dieci stati membri hanno votato a favore dei dazi, cinque hanno votato contro e dodici si sono astenuti.
I contrari sono stati l’Ungheria, la Slovacchia, la Slovenia, Malta e soprattutto – è la prima economia e la prima produttrice automobilistica dell’Unione – la Germania. Si sono espressi a favore l’Italia, la Francia, la Polonia, i Paesi Bassi, l’Irlanda, la Bulgaria, la Danimarca, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania.
Notevole è stata anche l’astensione della Spagna, il cui primo ministro Pedro Sanchez si era espresso contro le tariffe, invitando gli altri membri a “riconsiderare” la loro imposizione.
PROSEGUONO LE TRATTATIVE
La Commissione europea ha fatto sapere che continuerà “a lavorare duramente per esplorare una soluzione alternativa che dovrà essere pienamente compatibile con l’Omc, adeguata per affrontare le sovvenzioni pregiudizievoli accertate dall’indagine”. Le case cinesi si erano offerte di stabilire dei price undertakings: si chiamano così quegli strumenti commerciali utilizzati dalle aziende per alzare i prezzi di vendita e controllare i volumi delle loro esportazioni in modo, appunto, da evitare i dazi anti-sussidi.
I MOTIVI DELLO SCONTRO TRA FRANCIA E GERMANIA
Francia e Germania, anche per lo storico ruolo di “motore” dell’Unione, possono essere considerate le capofila dei due schieramenti sui dazi.
Parigi, infatti, pensa in generale che l’Europa debba mettere da parte l’agenda liberoscambista e adottare un approccio protezionistico, altrimenti potrebbe non riuscire a sostenere la competizione internazionale (vale a dire statunitense e cinese).
Berlino, d’altra parte, crede che la tutela dell’industria europea dalla concorrenza sleale estera non debba essere autolesionistica perché le barriere commerciali potrebbero degenerare in una trade war (l’interscambio con la Cina è il più importante per la Germania).
Come fa notare Politico, le posizioni di Francia e Germania sono espressione innanzitutto dei loro interessi nazionali, prima che di un interesse europeo comune. La Francia, infatti, porta avanti una linea dura contro i veicoli elettrici cinesi perché le sue case automobilistiche sono poco attive in Cina e dunque non verrebbero danneggiate pesantemente da eventuali contro-tariffe. Il mercato cinese, al contrario, è fondamentale per le vendite dei gruppi tedeschi come Volkswagen, Bmw, Porsche e Mercedes-Benz.