“Mentre i concorrenti tagliano, Stellantis si impegna a investire e difendere l’occupazione. E Imparato, quindi la società, ci mettono la faccia: è un’apertura di credito non banale, che richiede un’identica apertura da parte del governo e di tutte le parti coinvolte”. Non lo ha detto John Elkann e nemmeno Jean-Philippe Imparato che cura gli interessi europei del gruppo ma lo ha dichiarato a Repubblica (gruppo Gedi detenuto da Hexor, holding della famiglia Agnelli che possiede Stellantis) Cesare Pozzi, professore di Economia industriale alla Luiss, interpellato dal quotidiano diretto da Mario Orfeo per commentare – a tratti sponsorizzare? – il patto tra il governo e Stellantis.
L’ENTUSIASMO DI CESARE POZZI PER STELLANTIS
Il docente, vecchia conoscenza di Repubblica che lo interpella di recente sull’automotive, si scaglia esattamente come la Stellantis a guida Tavares contro i dazi della Ue contro le Case cinesi (“Il dazio è una risposta vecchia, può proteggere per un certo periodo delle industrie nascenti, non difendere un’industria che esiste da tempo e ha perso competitività. Dialogare con i cinesi è fondamentale”) e pungola l’esecutivo ad ascoltare maggiormente l’azienda quando c’è da mettere sul tavolo i fondi pubblici: “il governo può chiedere più informazioni a Stellantis per capire come orientare i fondi e mettere in condizione la nostra filiera della componentistica di adattarsi”.
PER POZZI L’AZIENDA NON HA COLPE
Stellantis ha colpe della situazione contingente (a iniziare dalla maggioranza degli stabilimenti italiani in cig)? No. “Sono i fatti – spiega Pozzi – che l’hanno rallentata, la risposta del mercato, i costi di produzione, ma anche il problema della produzione di energia. È probabile che l’ibrido costituisca un onesto compromesso, in grado di avere mercato in futuro”. La situazione in cui versa il gruppo italo-franco-statunitense viene insomma descritta identica a quella in cui si è ritrovata Volkswagen avendo inseguito gli abbagli della elettrificazione.
CESARE POZZI TRA GLI ECONOMISTI PIU’ APPREZZATI DA FAZZOLARI
Negli ambienti giornalistici non sono pochi coloro che ritengono che i commenti di Pozzi siano tenuti in massima considerazione non solo a Repubblica, ma anche a Palazzo Chigi. Dagospia sostiene che sia tra “gli economisti più apprezzati da Fazzolari”. “Stellantis – diceva il professore ai microfoni de La Stampa (sempre Gedi ergo Exor) ripreso da Dago in un articolo dal titolo eloquente, “Fate leggere a Meloni, in guerra con Stellantis, cosa dice Pozzi” – è un grande gruppo internazionale, ma soprattutto italiano. Rappresenta un’opportunità per Italia, Francia e Stati Uniti: è un esempio di collaborazione anche con l’altra sponda dell’Atlantico che va salvaguardato. Per questo ritengo fondamentale aprire un tavolo di discussione in Italia e in Europa per ascoltare a fondo le esigenze di questi attori. Stellantis è nata da imprese che hanno un’importanza storica e culturale, e dobbiamo fare di tutto per preservarle per garantire un futuro sostenibile e inclusivo”.
LA RICETTA PER USCIRE DALLA CRISI
“Occorre – aveva detto il docente Luiss al quotidiano torinese – una nuova strategia realmente a lungo termine che consideri l’impatto sociale della transizione, a partire da chi lavora in questo settore. Fermare il motore endotermico in Europa, ad esempio, è una scelta che deve essere supportata da misure concrete per gestire milioni di posti di lavoro garantendo un futuro che è non solo il loro, ma della nostra società tutta. Il problema come detto non è solo italiano, ma europeo, e richiede un approccio condiviso da tutte le parti coinvolte, imprese, governi e parti sociali che non dovrebbero mai essere avversari ma, a maggior ragione in questo momento, devono essere alleati”.
L’OTTIMISMO ANCHE DI FRONTE AI TAGLI
La pax tra governo e Stellantis delle ultime ore era auspicata da tempo da Pozzi che ripeteva da parecchio quanto ve ne fosse bisogno. Il professore era rimasto ottimista perfino sul taglio al fondo automotive che ha fatto sobbalzare un po’ tutti, sindacati e filiera: “Voglio vederlo in positivo – aveva detto ancora a Repubblica -, non come un tagliamo e fate voi, ma come il messaggio che serve un ripensamento. Sullo strumento incentivo, che è datato e soffre di una coazione a ripetere di fronte a una crisi strutturale. E sul fatto che non si possano mettere risorse pubbliche se non si ha una strategia”.
COSA SCRIVEVA POZZI NEL DOCUMENTO PROGRAMMATICO DI FDI
Cesare Pozzi non è un commentatore casuale: nei giorni precedenti il varo dell’esecutivo Meloni, era ritenuto in prima fila secondo molte ricostruzioni giornalistiche per il vertice del dicastero dell’Economia. Risulta infatti tra gli estensori degli “Appunti per un programma economico conservatore” di Fratelli d’Italia – a ridosso delle ultime elezioni politiche – nel quale si legge: “Quanto più estesa è la specializzazione produttiva tanto maggiore è la necessità di coordinamento, che interessa tre livelli: impresa, mercato e Stato. Con particolare riferimento al ruolo dello Stato, la grande crisi del 1929 negli Stati Uniti aveva sostanzialmente risolto il grande dibattito sugli assetti istituzionali che garantiscono il giusto equilibrio tra intervento pubblico e iniziativa privata. Il problema che progressivamente è stato perso di vista è che, in un sistema di libero mercato, l’intervento pubblico deve fare i conti con gli eventuali fallimenti dell’iniziativa privata in modo tale da sostenerne e rilanciarne la funzione di motore principale dell’economia”.
E, ancora: “Sulla base dei dati Eurostat, se nel 2000 il nostro Paese si collocava a un livello di circa 22 punti sopra la media dei Paesi UE-27, nel 2021, invece, il reddito reale pro-capite italiano risulta addirittura inferiore di 4 punti. Nello stesso orizzonte temporale 2000-2021, in termini assoluti il reddito reale pro-capite dell’Italia si è ridotto del 3%, mentre i Paesi UE-27 e dell’area-Euro hanno registrato una crescita rispettivamente del 24% e del 16%. Parallelamente, anche la produzione industriale ha subito una drammatica contrazione, perdendo oltre 22 punti; allo stesso modo, il valore aggiunto manifatturiero a prezzi costanti del nostro Paese ha subito, sulla base dei dati Unido, una contrazione del 10,5%, un pessimo segnale, se si considera che a livello globale il valore aggiunto manifatturiero nei venti anni è quasi raddoppiato”.
Il documento – messo a punto da esperti e tecnici di area Fratelli d’Italia – parlava insomma chiaro: il liberismo di matrice europea è da archiviare a favore di uno statalismo quasi demiurgico che intervenga laddove il privato sbagli. Qualcosa che stride profondamente coi principi espressi dai Trattati che limitano l’intervento statale per non falsare il gioco della libera concorrenza. Ma del resto per Pozzi sempre dalla Ue arrivano gli errori che hanno fatto uscire di strada gruppi come Volkswagen o Stellantis: “Anche l’Europa si sta giocando il suo futuro: se non ridiscute gli obiettivi rischia di delegittimare se stessa”, avverte quest’oggi da Repubblica.