Gli analisti dicono che il mondo dell’auto negli Usa alle ultime presidenziali ha votato in massa per Donald Trump. Quello stesso mondo dell’auto, storicamente coagulato attorno a Detroit, che starebbe per scoprire come i dazi caparbiamente voluti dalla Casa Bianca (pare anche contro il parere dello stesso Elon Musk) saranno un’arma a doppio taglio per i principali marchi statunitensi. A sostenerlo è uno studio della società di ricerche Jato Dynamics, che sottolinea come il tycoon, nell’imporre balzelli doganali più alti, non avrebbe tenuto conto (o forse sì?) del business model che oggigiorno sostiene il polo dell’auto statunitense.
I DAZI SONO UN BOOMERANG PER DETROIT?
Con l’inizio di aprile, ormai è noto, tutte le auto che entreranno negli Usa, ovvero il secondo mercato automobilistico più grande al mondo, dovranno pagare dazi al 25%. Una barriera che dovrebbe salvare in via automatica quelle già sul suolo americano, anche se non è proprio così: nel 2024, le “Big Three” di Detroit, ovvero General Motors, Ford e Stellantis, hanno venduto circa 1,85 milioni di veicoli leggeri importati negli Stati Uniti e questo rappresenta il 13% delle loro vendite globali combinate.
In confronto, Toyota, Honda e Nissan, i tre marchi giapponesi più grandi che la Casa Bianca ha voluto espressamente colpire (Toyota è il marchio di pick-up più diffuso negli States, specie nell’America profonda e bovara che vota repubblicano), hanno venduto 17,9 milioni di unità a livello globale lo scorso anno. Di questo totale, 1,53 milioni di unità sono state importate e vendute nel mercato statunitense, pari al 9%. I tre marchi di Detroit erano al 13%. Ma negli strali dell’attuale inquilino della Casa Bianca sono finite a ripetizione le auto europee, in particolar modo quelle tedesche, accusate di inondare il mercato americano: ebbene, Volkswagen, Bmw e Mercedes Benz si fermano al 7% del loro totale globale combinato.
LA VERA STRATEGIA DI TRUMP?
Secondo gli autori dello studio, “gli Stati Uniti sono un mercato vitale per 14 delle 18 case automobilistiche globali non cinesi”. Anche aziende come Volkswagen, per le quali gli Stati Uniti contribuiscono con una quantità relativamente piccola al fatturato totale del marchio, “cercheranno di mantenere una presenza per mantenere la loro posizione di marchio globale. Insieme a Volkswagen, è probabile che Volvo, Hyundai-Kia, Mercedes, BMW, Stellantis, Toyota, Nissan, Subaru e General Motors dovranno aumentare la loro impronta produttiva negli Stati Uniti nel prossimo futuro. Gli Usa – concludono gli analisti – sono un mercato che non possono lasciare”.
Quanto alle Case “interne” l’impatto sarà forte, ma Trump potrebbe aver agito deliberatamente per fare in modo che i marchi di Detroit annullino la percentuale di auto importate soprattutto da Messico, Canada e Corea così da impiantare in tutta fretta l’intera filiera di valore negli States, anche se – per innumerevoli ragioni – questo significherà comunque per le Case statunitensi esporsi a costi di produzione maggiori (con un conseguente aumento dei listini che graverebbe sull’inflazione). Insomma, i dazi in questo caso funzionerebbero non solo da muro per proteggere il mercato interno dai prodotti esteri ma anche da recinto entro cui rinchiudere i piani industriali di chi vuole fare affari negli Usa. A iniziare dalle stesse aziende americane.