La rivoluzione industriale, il conseguente avanzamento socioeconomico e lo sviluppo scientifico del calcolo strutturale portano allo sviluppo di una sperimentazione complessa sui nuovi materiali, principalmente quelli metallici, anche nell’architettura. Questa nuova sperimentazione è possibile perché è disponibile una maggiore quantità di prodotto, i materiali hanno prestazioni maggiori e permettono applicazioni più ampie nei singoli elementi come nei sistemi costruttivi. Si parte dalla sostituzione empirica degli elementi lignei e murari, ovvero il ferro viene utilizzato per creare armature coperte da altri materiali, e si arriva all’impiego di componenti prefabbricate originali. Queste ultime nascono da tipologie strutturali innovative e mai viste prima e portano allo sviluppo di una nuova concezione della costruzione, che viene definita “architettura d’ingegneria” per la sua matrice fortemente tecnologica. I campi di applicazione dell’architettura d’ingegneria sono la produzione di ponti in ferro, la realizzazione di edifici ad armatura metallica e la realizzazione di coperture in ferro e vetro. Spesso questo tipo di progettazione trova spazio in tipologie di strutture effimere, come quelle delle grandi esposizioni, o legate ai concetti di spazi ampi e di modernità, come le stazioni, i grandi magazzini o le serre botaniche. Inghilterra e Francia rappresentano le prime nazioni che sviluppano parallelamente una produzione su larga scala, con le fabbriche di ghisa di Darby, e lo sviluppo dello studio delle tecniche, che sfocia nella fondazione della École polytechnique e l’istituzione, presso la medesima università, di un corso in Scienza delle costruzioni. Ma sarà l’America, a partire dalla fine dell’Ottocento, a vedere il successo di questo tipo di progettazione che non coinvolgerà più solo i ponti e con la diffusione dei grattacieli, e porterà alla realizzazione di edifici alti più di trecento metri. E quando si parla di grandi progetti in ferro non si possono non dedicare alcune parole alla Torre Eiffel.
Costruita in occasione dell’Esposizione Universale del 1889, diventa il simbolo nell’immaginario collettivo di questo tipo di architettura. Inizialmente concepita come belvedere dal quale osservare il panorama di Parigi e da smontare dopo l’esposizione, fu risparmiata unicamente perché si rivelò una piattaforma ideale per le antenne di trasmissione necessarie alla nuova scienza della radiotelegrafia. Eppure, con i suoi 320 metri di altezza, ha mantenuto il record di costruzione più alta del mondo fino al 1930, anno in cui fu completato il Chrysler Building di New York. Un ponte sospeso trasporta carichi verticali attraverso cavi curvi in tensione. Questi carichi vengono trasferiti sia alle torri, che li trasportano per compressione verticale al suolo, sia agli ancoraggi, che devono resistere alla trazione verso l’interno e talvolta verticale dei cavi. Il ponte sospeso può essere visto come un arco capovolto in tensione con solo le torri in compressione. Poiché è sospeso in aria, è necessario prestare attenzione per garantire che non si muova eccessivamente sotto carico. Deve quindi essere pesante o rigido o entrambi. I primi ponti sospesi costruiti con la tecnologia delle catene o “galle”, elementi metallici rettilinei simili a bielle, collegate alle estremità, vengono realizzati nei primi due decenni dell’Ottocento in Francia e Gran Bretagna. Un esempio lo darà l’ingegnere scozzese Thomas Telford che porta a termine le esperienze più ardite del periodo con il suo ponte sospeso sul Menai, un braccio di mare tra l’isola di Anglesey e la terraferma del Galles. Il ponte fu costruito con sedici catene di sospensione, ciascuna costituita da 935 barre di ferro (oggi in acciaio), su di una luce di 176 metri tra il 1819 ed il 1826. Ma sarà il francese Marc Seguin il primo ad utilizzare, tra il 1823 ed il 1825, il cavo a fili metallici per realizzazioni impegnative ed a diffondere questa tecnica in tutta Europa. Il primo ponte sospeso carrabile realizzato in Italia è il ponte borbonico “Real Ferdinando” sul fiume Garigliano. Progettato da Luigi Giura, è posto al confine tra Lazio e Campania. Venne inaugurato nel 1832, ma l’idea di un ponte sospeso in ferro era nell’aria già dal 1817, quando Carminantonio Lippi la propose in una serie di cinque memorie che non vennero accolte con favore dagli ingegneri del Corpo Borbonico di Ponti e Strade.
Tornando al ponte sul Garigliano, l’ingegner Luigi Giura propone questo modello a partire dal 1825 ispirandosi prima al ponte dell’ Unione sul fiume Tweed (1820) presso Paxton in Scozia e poi, dopo aver modificato la sua proposta nel 1828, prendendo come spunto il Pont des Invalides di Parigi uno dei primi ponti sospesi inseriti in un ambiente urbano che contribuirà notevolmente a rendere evidenti le qualità formali e la suggestione ambientale delle strutture metalliche. Il ponte, che costò 75.000 ducati a carico del Regno, fu costruito con le componenti metalliche prodotte nelle ferriere calabresi di Cardinale, di proprietà del generale Carlo Filangieri, principe di Satriano e Duca di Cardinale. Con un impalcato lungo 80,40 metri e largo 5,50, era sospeso grazie ad un sistema a catene lunghe 129,50 metri e sorretto da colonne di un diametro di 2 metri e mezzo ed alte 7. Venne inaugurato alla presenza del Re Francesco I di Borbone il 10 maggio 1832. Per dimostrarne la solidità, questi si posizionò al centro della campata e ordinò che sul ponte passassero due squadroni di lancieri al trotto e ben sedici traini d’artiglieria. Distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale dall’esercito tedesco in ritirata lungo la linea Gustav, fu ricostruito nel 1998 e ha subito recentemente altri restauri che lo hanno reso di nuovo accessibile al pubblico. Sempre Luigi Giura realizza un altro ponte sospeso a Solopaca sul Calore nel 1835, dedicato questa volta alla moglie di Ferdinando II, Maria Cristina di Savoia. Purtroppo anche questo venne distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale e ricostruito nel dopoguerra in cemento armato. L’anno seguente all’inaugurazione sul Garigliano, e cioè nel 1833, viene inaugurato un altro ponte sospeso che univa le sponde del fiume Ombrone nella Tenuta di Poggio a Caiano. Di quel ponte, indicato come il primo ponte sospeso della Toscana, oggi restano solo due piloni di pietra senza indicazioni. Progettato da Alessandro Manetti (Firenze 1787-1865), fu finanziato da Leopoldo II per risolvere la necessità di agevolare i collegamenti tra la villa, i suoi annessi e le Cascine.
Questo è il primo in Italia ad essere costruito non con le catene ma con la tecnica dei cavi sospesi, che avrà degli sviluppi fino ai nostri giorni. Il ponte fu realizzato con impalcato ligneo, di quercia stagionata, formato da travi trasversali e tavolato con marciapiede e corsia carrabile. Il sistema di sospensione era formato da sei coppie di funi alle quali era sospeso l’impalcato mediante altre funi a due cavi. I cavi metallici vennero prodotti dalle Fonderie di Follonica, quando le imponenti opere murarie erano già compiute. Ugualmente da Follonica arrivarono i fregi e le iscrizioni in ghisa che adornavano i piloni del ponte e di cui non c’è più traccia.
A Firenze, tra il 1835 e il 1837 i fratelli Seguin costruivano con materiale e tecnologia francese, due ponti sospesi sull’Arno di 90 metri di luce che sono attualmente scomparsi. Di questi, uno nominato Ponte S. Ferdinando è stato sostituito dall’attuale Ponte S. Niccolò e l’altro, detto S. Leopoldo, era localizzato nei pressi dell’attuale Ponte alla Vittoria. Ma il maggior monumento italiano dell’architettura in ferro dell’Ottocento viene considerato il Ponte di Paterno, sul fiume Adda, progettato per soddisfare la necessità di potenziare la rete ferroviaria che sosteneva lo sviluppo dell’industria lecchese nell’Ottocento e che determinò l’aggiunta di nuove tratte. Costituisce l’espressione più matura del progresso raggiunto in quel secolo e posto al servizio delle ferrovie, dall’industria siderurgica e dall’ingegneria civile italiana. Per questo la sua rilevanza è paragonabile a quella della Tour Eiffel di Parigi, che fu costruita in quegli stessi anni e con le medesime tecnologie. Il 22 gennaio 1887 la Società Nazionale delle Officine di Savigliano firmò il contratto per la costruzione di un viadotto metallico che completasse il tronco ferroviario Usmate-Carnate-Ponte S. Pietro-Bergamo nel punto dell’attraversamento ad alta quota del corso dell’Adda su progetto dell’ingegnere svizzero Julius Röthlisberger (1851-1911). Completato nel 1889, il ponte è lungo 266 metri ed è sostenuto da nove appoggi, che reggono un’arcata metallica di 150 metri di corda e 37,50 di freccia. Nella travata interna del viadotto passa la ferrovia, sulla parte superiore c’è la strada destinata al traffico leggero. L’altezza sul fiume, al di sotto, è di circa 85 metri. La campata è costituita da due archi parabolici simmetrici e affiancati, leggermente inclinati tra loro e a sezione variabile più snella verso la cima. Gli archi si appoggiano a opere cementizie e murarie costruite a metà della parete della scarpata che discende al fiume. I plinti e i contrafforti di sostegno sono costituiti da oltre 5.000 metri cubi di pietra di Moltrasio e 1.200 metri cubi di granito di Baveno. La struttura è interamente chiodata e non fa uso di saldature, mentre le parti in ghisa furono fornite da una ditta tedesca.