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educazione

Pregi e limiti della valutazione educativa comparata

Le valutazioni OCSE-PISA servono all'economia, non all'educazione. L'analisi di Orazio Niceforo.

Questa volta, a differenza di quanto spesso avvenuto in passato in Italia e nel mondo, l’eco mediatica di PISA è stata limitata, tranne che in Francia, dove a colpire è stato soprattutto il forte calo dei risultati ottenuti dagli studenti francesi in matematica, la materia considerata nel Paese di Cartesio il principale termometro della qualità del sistema scolastico.

PISA 2022. Un crollo annunciato

Probabilmente lo scarso rilievo dato quasi ovunque ai risultati dell’indagine PISA 2022 è dovuto al fatto che il forte calo complessivo del livello medio delle prestazioni era dato per scontato, come conseguenza inevitabile della prolungata e generalizzata chiusura delle scuole verificatasi nel 2021 a causa della pandemia di Covid-19.

Così a sparare in prima pagina sul disastro della scuola italiana, disattendendo platealmente il recente invito delle giornaliste scolastiche Fregonara e Riva a non farlo (il loro “Non sparate sulla scuola” è uscito da Solferino due mesi fa), è rimasto solo il quotidiano Libero, che in un titolo a caratteri cubitali ha denunciato sgarbianamente l’“emergenza capre” (italiane) rivelata dall’indagine, anche se poi nell’articolo ha dovuto ammettere che il calo del punteggio degli italiani in matematica (-15 punti) corrispondeva a quello mondiale, e che il posizionamento dell’Italia nelle varie classifiche PISA era rimasto più o meno lo stesso, e anzi era un po’ migliorato in Scienze rispetto al 2018.

In effetti il panorama dei sistemi scolastici a livello internazionale e nazionale (qui l’accurato rapporto italiano presentato dall’Invalsi) rivela una uniforme tendenza al ribasso, con la conferma di alcuni fenomeni come il permanere – evidente in Italia, ma anche altrove – degli squilibri territoriali e di quelli legati a fattori socio-culturali, e con l’eccezione, in controtendenza, del forte successo registrato dai sistemi scolastici dei Paesi dell’Asia orientale.

Le considerazioni svolte da Mathias Cormann, segretario generale dell’OCSE, e da Andreas Schleicher, responsabile del settore Educazione e competenze – a voce lo scorso 5 dicembre e per iscritto in apertura dei primi due volumi del Rapporto finora pubblicati (vol. I, Risultati chiave, vol. II, Resilienza dei sistemi durante e dopo il Covid-19; ne seguiranno altri tre nel 2024) – non offrono ricette per rimediare alla crisi di risultati evidenziata da PISA 2022, limitandosi ad esortare i decisori politici nazionali a prendere esempio dai modelli e dalle pratiche in uso nei Paesi che hanno avuto maggior successo sul piano dei risultati e dell’equità, intesa essenzialmente come inclusione.

La ricetta Ocse è forse utile per l’economia, ma per l’educazione?

Nei loro testi di apertura del Rapporto PISA 2022 Mathias Cormann e Andreas Schleicher ribadiscono con convinzione la validità delle indagini PISA come strumento di sostegno alle decisioni politiche volte a utilizzare gli investimenti in educazione come fattore chiave dello sviluppo economico dei Paesi.

Ma con una singolare inversione dei ruoli, almeno stando a quanto da loro scritto nei citati testi (il contrario, però, è avvenuto nelle rispettive comunicazioni verbali fatte il 5 dicembre), è stato il segretario generale dell’OCSE Cormann, un politico, a entrare nel merito dei risultati acquisiti dagli studenti dei diversi Paesi, mentre il responsabile Education and Skills Schleicher, che è un tecnico, si è fatto carico della funzione politica di PISA nel quadro dell’attività dell’OCSE.

L’ottica di Schleicher, che ha una formazione fisico-matematica, è certamente quella statistico-quantitativa degli economisti dell’istruzione americani (caposcuola Eric Hanushek), che hanno teorizzato un rapporto diretto tra l’aumento del livello di istruzione, a partire dalle competenze di base, e lo sviluppo economico delle nazioni, entrambi misurabili e correlabili con strumenti matematici.

Così, scrive Schleicher, “esperti in materia, professionisti e decisori politici dei paesi partecipanti hanno lavorato instancabilmente per costruire un accordo su quali risultati dell’apprendimento siano importanti da misurare e su come misurarli al meglio; progettare e convalidare compiti di valutazione che possano riflettere tali misure in modo adeguato e accurato tra paesi e culture; e trovare modi per confrontare i risultati in modo significativo e affidabile”.

La filosofia è quella efficientista e consumerista dell’OCSE: “In un mondo che premia sempre più gli individui non solo per ciò che sanno, ma per ciò che sanno fare con ciò che sanno, PISA va oltre la valutazione se gli studenti riescono a riprodurre ciò che hanno imparato a scuola. Per ottenere buoni risultati in PISA, gli studenti devono essere in grado di estrapolare da ciò che sanno, pensare oltre i confini delle discipline, applicare le loro conoscenze in modo creativo in situazioni nuove e dimostrare strategie di apprendimento efficaci”.

Ma, anche ammesso che esista una correlazione causale dimostrabile (non tutti ne sono sicuri) tra esiti dei test PISA e sviluppo economico, da questo si dovrebbe dedurre che la qualità dei sistemi scolastici premiati dai punteggi delle classifiche PISA è necessariamente migliore di quella dei Paesi che occupano posizioni medio-alte, come molti europei, o anche inferiori alla media internazionale (472 per matematica) come gli Stati Uniti (465) o Israele (458)? Certamente è vero (ci sono evidenze a dimostrarlo) che da un aumento della scolarità e delle competenze di base possono trarre importanti benefici le economie dei Paesi più poveri o meno sviluppati (diciamo tra un quarto e un terzo degli 81 che hanno partecipato all’indagine PISA 2022), ma non è detto che la qualità dei loro sistemi scolastici migliorerebbe, se facciamo riferimento ad altri elementi non di quantità ma di qualità, come quelli relativi a comportamenti, atteggiamenti e valori, apertura mentale, rispetto delle altre persone e delle diverse culture, generosità, spirito di collaborazione, sensibilità artistica. Tutti fattori difficilmente misurabili ma certamente rilevabili e valutabili con strumenti di indagine qualitativa(studi di caso, interviste in profondità, focus group, ricerca etnografica), e non quantitativa. Ma è davvero possibile individuare, valutare e comparare la qualità dei diversi sistemi scolastici?

L’assillo della misurazione

Anche in occasione della presentazione dei risultati di PISA 2022 l’OCSE ha ribadito che l’obiettivo strategico di questa indagine triennale, inaugurata nel 2000, è quello di mettere a disposizione dei decisori politici dei diversi Paesi partecipanti, anche al di fuori del circuito OCSE, i dati relativi ai livelli di apprendimento raggiunti dagli studenti quindicenni, misurati attraverso test che danno luogo a classifiche comparative, nella convinzione che essi (i decisori) possano trarne suggerimenti (“ways”, ha detto Schleicher) su cosa fare per migliorare i loro sistemi scolastici.

La conoscenza e il confronto dei dati servono essenzialmente a questo scopo “miglioristico”. Anche se “i paesi e le economie che prendono parte al PISA sono culturalmente diversi e hanno raggiunto diversi livelli di sviluppo economico”, si legge nella prefazione del Rapporto, essi “devono affrontare una sfida comune: sostenere i bambini e i giovani affinché possano raggiungere il loro pieno potenziale come studenti ed esseri umani”. “Pieno potenziale” che nella visione liberomercatistica e individualista dell’OCSE, fondata sulla massimizzazione della produttività dei sistemi economici alla ricerca della massima soddisfazione degli interessi dei singoli – intesi, oltre che come produttori, anche come consumatori di beni e servizi – può essere realizzato al meglio solo se i sistemi scolastici sono finalizzati sull’acquisizione non di saperi ma di “competenze”, cioè di conoscenze finalizzate al “fare”, ossia al produrre e consumare benie servizi essenzialmente materiali.

È nell’interesse di tutti i Paesi, dicono i vertici dell’OCSE, che i giovani non solo “sappiano” ma imparino a “fare con ciò che sanno”. Un obiettivo strategico che PISA si è dato fin dall’inizio e che punta a valutare, attraverso test appositamente predisposti, non la qualità dell’apprendimento individuale (equilibrio, completezza, uso critico e creativo delle conoscenze ecc.) che è difficilmente misurabile e comparabile, ma la quantità delle risposte corrette ai test, che invece può essere misurata. Come il PIL, gli indici di produttività, i tassi di occupazione e disoccupazione, o il gradimento dei consumatori.

La valutazione va oltre la misurazione

L’OCSE si è in parte resa conto del rischio di uno schiacciamento di PISA sulla dimensione pratico-operativa (e perciò misurabile in termini quantitativi tramite i test) delle tre competenze di base (lettura, matematica, scienze)finora considerate,e ha preannunciato per il 2024 la pubblicazione di nuovistudi derivanti dall’approfondimento di altri aspetti ricavati dall’analisi dei risultati di PISA 2022, tra i quali un volume dedicato all’analisi del “pensiero creativo” (critical thinking), testato attraverso alcune domande a risposta multipla e altre a risposta aperta, alle quali gli studenti sono stati invitati a rispondere conrisposte motivate in modo originale.Lo stesso è stato fatto per le competenze in materia finanziaria. Per l’analisi, non facile, di questi tipo di risposte, serve tempo. Vedremo tra un anno.

Comunque, al di là delle riserve su ciò che è misurabile e sull’utilità delle misurazioni (che stanno dando luogo, negli USA, a dure critiche sul testing, giudicato diseducativo e fuorviante) c’è un problema più di fondo, sul quale emergono divergenze anche tra gli studiosi di educazione comparata: è corretto comparare i risultati ottenuti dagli studenti appartenenti a sistemi educativi nazionali che hanno alle spalle storie, valori, strutture organizzative, modelli pedagogici così diversi? E non è l’operazione PISA, come si è chiesto qualche anno fa l’autorevole accademico inglese Robert Cowen in un convegno promosso a Roma dalla SICESE, l’associazione dei comparatisti italiani, un aspetto del condizionamento storico-culturale riconducibile all’egemonia esercitata dagli USA in campo economico e dell’innovazione tecnologica dopo la fine della seconda guerra mondiale e la caduta del Muro di Berlino?

Ma se le cose stanno così (ed è difficile negarlo), andrebbero in primo luogo studiate “le forme di trasferimento, traduzione e trasformazione del ‘modello americano’ nei Paesi dell’area Ocse e in quelli emergenti”. Una volta fatta questa operazione preliminare di identificazione dei “debiti” verso il modello americano, però, ciascun Paese dovrebbe valorizzare e valutare anche il proprio patrimonio culturale e le proprie risorse pedagogiche senza appiattirsi sulla filosofia economicista dell’OCSE. Per quanto riguarda l’Italia questa operazione non può essere chiesta all’Invalsi, i cui strumenti valutativi, sia pure gestiti con grande cura (come mostra il Rapporto nazionale su PISA 2022), si sono inevitabilmente conformati al modello americano del testing sulle “competenze”, cioè sulla valenza pragmatica delle conoscenze.

Mettere in luce i limiti di questo modello e proporre alternative spetta al mondo della ricerca accademica indipendente, nazionale e internazionale, al di fuori di qualunque condizionamento (“il dovere dell’Accademia è di dire la verità al Potere”, è il mantra di Cowen), ma potrebbe essere anche il frutto di scelte politiche, se la (buona) politica decidesse di dare spazio e valore alle iniziative e ai metodi valutativi innovativi in atto in molte scuolenel mondo, e anche in Italia, con l’ausilio delle tecnologie digitali.

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