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Sanità, ecco le migrazioni fra regioni. Report Gimbe

La mobilità sanitaria interregionale spacca in due l'Italia. Fatti, numeri e commenti nel report della Fondazione Gimbe

 

Nulla di nuovo sotto il sole. Era la fine del 2022 quando l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) osservava che il fenomeno dell’esodo da Sud a Nord per curarsi è tutt’altro che in diminuzione.

Ora, sulla criticità dell’argomento torna anche la Fondazione Gimbe, secondo cui nel 2021 la mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto un valore di 4,25 miliardi di euro, cifra molto superiore a quella del 2020 (3,33 miliardi di euro), con saldi estremamente variabili tra le regioni del Nord e quelle del Sud. Il saldo è la differenza tra mobilità attiva, ovvero l’attrazione di pazienti provenienti da altre regioni, e quella passiva, cioè la ‘migrazione’ dei pazienti dalla regione di residenza.

Per la Fondazione, la questione dell’autonomia differenziata, appena sbarcata al Senato con il ddl Calderoli, aggraverebbe ulteriormente le disuguaglianze tra i pazienti.

LE REGIONI IN CUI I PAZIENTI VANNO A CURARSI…

Quasi la metà della mobilità attiva viene raccolta da tre regioni: Lombardia (18,7%), Emilia-Romagna (17,4%), Veneto (12,7%), a cui si aggiunge un ulteriore 25,6% suddiviso tra Lazio (9,5%), Piemonte (6,8%), Toscana (4,9%) e Campania (4,4%).

Il rimanente 25,6% della mobilità attiva, riferisce Gimbe, si distribuisce nelle altre 14 regioni e province autonome.

…E QUELLE DA CUI SCAPPANO

Altre tre regioni compongono, invece, quasi un terzo della mobilità passiva, generando di conseguenza debiti per oltre 300 milioni di euro ciascuna. Nell’ordine: Lazio (12%), Lombardia (10,9%) e Campania (9,3%).

Il restante 67,9% della mobilità passiva si distribuisce nelle rimanenti 18 regioni e province autonome.

Tuttavia, rispetto ai dati sulla mobilità attiva, il presidente di Gimbe, Nino Cartabellotta, afferma che “i dati della mobilità passiva documentano differenze più sfumate tra Nord e Sud”. “In particolare – precisa -, se quasi tutte le regioni meridionali hanno elevati indici di fuga, questi sono rilevanti anche in 4 grandi regioni del Nord che presentano un’elevata mobilità attiva”.

Il che si spiega come “una conseguenza della cosiddetta mobilità di prossimità, determinata da pazienti che preferiscono spostarsi in regioni vicine con elevata qualità dei servizi sanitari”.

In dettaglio: Lombardia (-461,4 milioni di euro), Veneto (-270,3 milioni di euro), Piemonte (-253,7 milioni di euro) ed Emilia-Romagna (-239,5 milioni di euro).

LA FRATTURA STRUTTURALE TRA NORD E SUD

“I dati – commenta poi Cartabellotta – confermano la ‘frattura strutturale’ tra Nord e Sud, visto che le regioni con saldo positivo superiore a 200 milioni di euro sono tutte del Nord, mentre quelle con saldo negativo maggiore di 100 milioni di euro tutte del Centro-Sud”.

I RISCHI DELL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA PER LA SALUTE

Tale frattura, secondo Gimbe, rischia di diventare ancora più profonda con l’autonomia differenziata e per questo chiede che la tutela della salute sia esclusa dalle materie su cui le regioni possono richiedere maggiori autonomie.

“Le nostre analisi – afferma il presidente della Fondazione – dimostrano che i flussi economici della mobilità sanitaria scorrono prevalentemente da Sud a Nord, in particolare verso le regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi con il governo per la richiesta di maggiori autonomie”.

Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto – regioni capofila dell’autonomia differenziata – raccolgono infatti il 93,3% del saldo attivo, mentre il 76,9% del saldo passivo si concentra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo.

Secondo Gimbe, con il ddl Calderoli la frattura tra Nord e Sud sarebbe definitivamente legittimata, compromettendo l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto costituzionale alla tutela della salute, aumentando la dipendenza delle regioni meridionali dalla sanità del Nord e assestando il colpo di grazia al Servizio sanitario nazionale (Ssn).

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