Il confronto polemico sui soldi alla sanità merita qualche ulteriore approfondimento. Il Presidente del Consiglio ha presentato la crescita del finanziamento in valori assoluti e procapite. Confrontato con il 2019, anno pre Covid, il trasferimento nel 2025 diventa superiore di ben 22 miliardi mentre per ciascun abitante passa da 1.919 a 2.317 euro, ovvero quasi 400 euro in più. I critici confrontano l’aumento assoluto con l’inflazione e con il PIL per sostenerne la insufficienza.
L’inflazione sanitaria è tuttavia rimasta molto al di sotto dell’inflazione generale e il confronto con il Pil di altri Paesi non considera i diversi aggregati di spesa compresi nella voce della salute. Per capire il rapporto tra spesa e bisogni è sufficiente analizzare il riparto tra le Regioni, assolutamente indifferente al Pil dei territori e fondato, invece, sulla popolazione. Infatti, in percentuale del Pil regionale la spesa corrente, lungo la penisola, sale in progressione dal valore minimo del 5% in Lombardia fino a quello massimo del 10,5 in Sicilia. Al contrario, la spesa per abitante tendenzialmente diminuisce nella stessa direzione da nord a sud.
I livelli minimi sono della Calabria e della Campania mentre quelli massimi, al netto dei territori con statuto speciale (che spendono di più), sono della Liguria e della Emilia. La spiegazione risiede nel criterio distributivo che usa la popolazione “pesandola” per classi di età. Così fu impostato quasi trent’anni fa. Oggi andrebbe considerato solo il peso della fascia più anziana nella quale, con l’allungamento della vita, si concentra larga parte delle cronicità.
Sgombrato il campo dalle accuse di sottofinanziamento, rimane il problema di non alimentare con risorse aggiuntive i servizi sanitari regionali a prescindere da inefficienze che talora sono veri e propri rubinetti aperti. Una forte guida centralizzata, garantita da Agenas e Ragioneria dello Stato, dovrebbe condizionare almeno una parte dei trasferimenti ad accordi di programma utili all’assorbimento delle liste di attesa e alla convergenza verso i modelli migliori per costi e per esiti. Vi sono infatti Regioni che costano e non garantiscono i livelli essenziali delle prestazioni. Ve ne sono altre che, a parità di esiti, operano a costi fissi molto superiori. La stessa collaborazione tra pubblici e privati dovrebbe indurre i primi a concentrarsi sulle prestazioni più qualificate, acquistando invece quelle meno complesse a costi convenienti. Specifica attenzione meritano le professioni sanitarie. La loro carenza dipende anche dalla dispersione della offerta ospedaliera che conta ancora molti plessi al di sotto degli standard minimi. La riqualificazione e rimotivazione dei medici è legata alla trasformazione in studi associati di quelli di famiglia come alla ricostruzione della carriera e della remunerazione meritocratica di quelli ospedalieri.
Quindi, soldi sì ma ben spesi.