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microplastiche fertilità

Esiste un legame tra microplastiche e riduzione della fertilità?

Il rilevamento di microplastiche negli ovuli aveva già allertato gli esperti. Ora la loro scoperta anche nei testicoli, nello sperma e nel pene suggerisce di approfondire se esista un collegamento tra microplastiche e diminuzione della fertilità. Tutti i dettagli

 

Alla scoperta di microplastiche negli ovuli è seguita quella nei testicoli, nello sperma e nel pene. Gli scienziati hanno quindi iniziato a interrogarsi sulla possibilità che questa sia una possibile causa dietro alla minore fertilità di donne e uomini.

Solo in Italia, secondo la Società italiana della riproduzione umana (Siru), l’infertilità è “un problema diffuso che riguarda quasi una coppia in età fertile su cinque”.

LA SCOPERTA DI MICROPLASTICHE NEGLI OVULI

Ad aprile un gruppo di ricerca italiano aveva pubblicato uno studio in cui veniva rilevata la presenza di nano e microplastiche nel liquido follicolare che è a diretto contatto con i gameti femminili, ovvero gli ovuli. “Si tratta di sostanze dalle dimensioni pulviscolari, che penetrano in profondità nel nostro organismo e che vengono introdotte nell’organismo con l’acqua che beviamo, il cibo che mangiamo, l’aria che respiriamo e anche attraverso la pelle con i cosmetici ad esempio”, aveva spiegato Luigi Montano, uroandrologo della Asl Salerno e past president di Siru, a capo dello studio.

LA SCOPERTA DI MICROPLASTICHE NEI TESTICOLI E NELLO SPERMA

A fine maggio un altro studio ha individuato microplastiche nei testicoli e i ricercatori hanno ipotizzato che la scoperta potrebbe essere collegata alla diminuzione del numero di spermatozoi. Sono arrivati a questa supposizione perché oltre ai 23 campioni umani, che essendo stati conservati non erano esaminabili per verificare la tesi, avevano anche 47 campioni di cani domestici e in quelli che presentavano contaminazione da microplastiche il numero di spermatozoi è risultato più basso.

Per quanto riguarda, invece, gli uomini, i loro testicoli avevano una concentrazione di plastica quasi tre volte superiore a quella trovata nei testicoli dei cani: 330 microgrammi per grammo di tessuto contro 123 microgrammi. Il polietilene, utilizzato nei sacchetti e nelle bottiglie di plastica, era la microplastica più comunemente trovata, seguita dal polivinilcloruro (pvc). “Il pvc può rilasciare molte sostanze chimiche che interferiscono con la spermatogenesi e contiene sostanze chimiche che causano alterazioni del sistema endocrino”, ha dichiarato il professor Xiaozhong Yu dell’Università del New Mexico negli Stati Uniti.

Anche altre ricerche, tra cui due condotte in Cina e una in Italia, hanno trovato microplastiche nei campioni di sperma umano analizzati e recenti studi sui topi hanno evidenziato che la loro presenza riduce il numero di spermatozoi e causa anomalie e alterazioni ormonali.

I ricercatori sono quindi giunti alla conclusione che ulteriori approfondimenti sui potenziali danni alla riproduzione sono “imperativi”. “Se l’inquinamento da microplastiche ha un impatto sul critico processo riproduttivo, come evidenziato in particolare dal declino della qualità seminale registrato negli ultimi decenni a livello globale, potrebbe rivelarsi [ancora peggiore] per la nostra specie in un futuro non troppo lontano”, ha commentato Montano.

ESISTE UN COLLEGAMENTO CON L’INFERTILITÀ?

Ad accrescere i sospetti di un coinvolgimento delle microplastiche nella riduzione di fertilità è stato un ultimo studio che le ha riscontrate per la prima volta anche nel pene, sollevando dubbi su un potenziale ruolo nella disfunzione erettile. Secondo i ricercatori, infatti, il pene potrebbe essere particolarmente vulnerabile alla contaminazione da microplastiche a causa dell’elevato flusso sanguigno durante l’erezione.

Il numero di spermatozoi, scrive il Guardian, è in calo da decenni e il 40% dei casi di basso numero di spermatozoi rimane inspiegabile, sebbene l’inquinamento chimico sia stato chiamato in causa da molte ricerche. Ora, per gli esperti siamo a un altro livello, come ha spiegato il dottor Ranjith Ramasamy, dell’Università di Miami: “Abbiamo superato la questione della presenza di microplastiche in noi, per arrivare a stabilire se esiste un livello di microplastiche oltre il quale le cose diventano patologiche”.

“Come società – ha aggiunto -, dobbiamo essere consapevoli che bere acqua da bottiglie di plastica, prendere cibo da asporto in contenitori di plastica e, peggio ancora, cuocere il cibo al microonde in contenitori di plastica, sono tutte azioni che contribuiscono a far entrare nel nostro corpo cose che non dovrebbero esserci”.

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