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Calenda e il benedetto pragmatismo della Fondazione Einaudi

L'intervento di Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Luigi Einaudi, alla convention di Azione di Carlo Calenda ha messo in moto il turbo pragmatismo liberale degli eredi di Einaudi? La lettera di Lotario di Segni

Caro direttore,

so che sei un liberale “de fero” e per questo, non lo nascondo, ti scrivo questa letteruzza al solo scopo di pungolarti un po’. E di farti vedere come ormai il tuo punto di vista sia persino più stantio di quello dello stesso Einaudi. Anzi, scommetto che se fosse vivo ti darebbe lezioni di pragmatismo.

Avrai infatti notato che sembra essersi ricucito lo strappo tra il presidente della Fondazione Luigi Einaudi, Giuseppe Benedetto, e il leader di Azione, Carlo Calenda. Breve riassunto delle puntate precedenti: all’inizio del luglio ’22 la Fondazione Luigi Einaudi, proprio con Calenda, aveva presentato il «Comitato di garanzia dei Liberali Democratici Repubblicani Europei». Poi, come accade spesso con chi ha a che fare con l’ex manager Ferrari, è finita malissimo.

Ti leggo alcuni passaggi che aveva rilasciato solo un mese dopo al Giornale: «Siccome Azione e +Europa e anche Italia Viva fanno parte del gruppo Renew Europe, che si richiama appunto a quei valori, come Fondazione Luigi Einaudi abbiamo pensato di poter collaborare per dare una rappresentanza anche nel Parlamento italiano a questa area politica. Ma con una alleanza con il Pd mi pare difficile». Il nodo era insomma sulle alleanze. Lo stesso peraltro che oggi nel fare e disfare quel benedetto campo largo Calenda imputa al Pd. Diceva Benedetto: «Per me il problema non sono i collegi. Il nostro progetto era quello di riavere in Italia dopo 30 anni un movimento autenticamente liberale, non quello di ottenere 5 o 10 seggi in più in Parlamento». Per poi chiosare: «Non mi ero mai illuso su Calenda».

I due hanno continuato ad annusarsi da lontano. Dopo la partecipazione di Benedetto al Congresso di Azione il presidente della Fondazione ha preso carta e penna e sul Riformista ha scritto un sacco di belle parole indirizzate al leader di Azione: «Invitando la presidente del Consiglio hai fatto un’operazione non solo tattica, ma anche strategica. La strategia non può che esser quella di posizionare, alle prossime elezioni, una lista elettorale autenticamente liberale al centro, senza scelte preventive di campo ma pronti a una eventuale alleanza post elettorale». E qui, direttore, già si intravede tutto il pragmatismo dei liberali post Einaudi: guai a essere chiari con gli elettori prima delle elezioni, meglio ammucchiarsi subito dopo.

«Bisognerebbe – scrive sempre Benedetto – non presentare liste di partito alle regionali, che si succederanno tra oggi e la scadenza delle politiche. Questo eviterà di immiserire il messaggio di una forza politica d’opinione che deve essere e apparire diversa. In schermaglie locali – ammonisce Benedetto – finendo per essere ostaggio di quei personaggi che proprio tu hai individuato durante il congresso. Così si eviterebbe inoltre – e, caro direttore, ecco nuovamente il pragmatismo liberista – di farsi contare sul terreno più impervio, quello delle regionali. L’altro consiglio non richiesto – conclude il presidente della Fondazione Einaudi – è evitare di perder tempo a mettere assieme gruppi e gruppetti di un’area politico elettorale frastagliata e insignificante. Volare alto e non immiserirsi nella politica del giorno per giorno Individua anche i soggetti migliori, valorizzali, ma evita quelle liste orripilanti con simboli e simbolini di pseudo partitini. Crea, insomma, una Azione liberale dove sostantivo e aggettivo si possano confondere e sovrapporsi».

A proposito di pragmatismo. Si è molto parlato di una possibile alleanza Calenda – Meloni su una nuova legge elettorale proporzionale. Le basi di siffatta alleanza sarebbero state gettate proprio al congresso di Azione con la benedizione di Benedetto (nomen omen). Eppure, direttore, nei miei libri – che purtroppo non ho dietro con me, sono rimasti giù a Roma mentre da mesi sono di stanza a Milano – mi pare di ricordare che il buon Einaudi fosse per l’uninominale: sbaglio? Lo chiedo a un einaudiano della tua risma non a caso.

In realtà la mia risposta l’ho già trovata in questo interessante articolo su Einaudi della rivista Il Mulino (“Personalmente preferisce il sistema uninominale (segnatamente il collegio uninominale con voto alternativo) ma non esclude la possibilità di introdurre correttivi al proporzionale «per migliorare – appunto – la composizione della futura Camera»”). Ma soprattutto la si può rinvenire nell’esegesi dell’Einaudi pensiero da parte dello stesso Giuseppe Benedetto in questo vecchio intervento di ormai cinque anni fa: “Personalmente propenderei tendenzialmente per un sistema elettorale, su cui già si espresse Luigi Einaudi, di piccoli collegi uninominali in cui con il sistema maggioritario secco ad un turno si elegge il parlamentare di quel collegio. Tale sistema avrebbe il vantaggio di rapportare strettamente l’eletto all’elettore e di migliorare sensibilmente la qualità della nostra classe politica. Dove infatti il cittadino elettore si reca alle urne e conosce, magari direttamente, il candidato da votare potrà meglio sindacare la qualità dell’eletto”. Poi pure qua subentrava l’ormai noto pragmatismo liberista: “Ma la legge elettorale – aggiungeva – non è un piatto che ciascuno cucina a suo piacimento e poiché ormai pare evidente come con l’attuale composizione del Parlamento italiano ci si muova rapidamente verso un sistema proporzionale quale quello delineato da Orlando, allora senza speciose polemiche vorrei affrontare i nodi cruciali relativi a quel sistema e non solo”.

Ancora sul Riformista, quattro anni dopo (quindi lo scorso luglio), Giuseppe Benedetto diceva una cosa un poco diversa (specie da un ipotetico piano di azione tra Calenda e Meloni sul proporzionale) e al giornalista che gli chiedeva cosa servisse per riordinare il sistema elettorale rispondeva: «Germania, Germania, Germania. Un sistema elettorale solido che garantisce il massimo della rappresentatività e al tempo stesso della stabilità. Proporzionale con sbarramento al 5%».

Insomma, direttore, persino le più grandi religioni monoteiste si sono adeguate, nel corso dei millenni, alla situazione contingente. Si sono lasciate plasmare dagli eventi. Permetterai che vari, muti, cambi pelle persino il pensiero alla base delle teorie politico-economiche, no? Non credere non abbia notato i tuoi sfottò via social su presunte incongruenze tra il fatto che la Fondazione Einaudi auspichi una “seria revisione della spesa pubblica” e contemporaneamente sia sussidiata da aiuti di stampo statalista da parte di ministeri, regioni, enti locali ecc: dovrai arrenderti al fatto che il vero fenomeno del Terzo millennio non è quel turbo liberismo che vede solo il buon Fusaro, ma il turbo pragmatismo.

Un liberal-saluto, ma all’occorrenza anche un po’ statalista, dal tuo

Lotario di Segni

 

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