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Bpm sulla monetica snobba Nexi e si sposa con Fsi di Tamagnini, tutti i dettagli

Che cosa cambia dopo la mossa di Banco Bpm con Fsi sulla monetica. Fatti, numeri, commenti e scenari.

Bpm sulla monetica snobba Nexi (partecipata anche da Cdp) e si sposa con Fsi di Tamagnini.

Ecco fatti, numeri, commenti e scenari.

CHE COSA HA DECISO BANCO BPM SULLA MONETICA

Banco Bpm ha concesso un’esclusiva per la costituzione di un nuovo polo nella monetica con Fsi, veicolo che oggi controlla BccPay. Ci sarà la costituzione di un nuovo polo nei pagamenti con Fsi, la cui valorizzazione complessiva è superiore a 2 miliardi (fra “upfront” e “running”). La partnership, scrive la banca di piazza Meda guidata dall’ad, Giuseppe Castagna (nella foto), «porterebbe alla creazione del secondo principale player nazionale del settore, interamente controllato da operatori italiani».

CHE COSA HA COMUNICATO BANCO BPM

Proprio nell’ottica di una valorizzazione del ‘business della monetica, il cda della banca, “esaminate le offerte ricevute da primari operatori del settore”, ha deliberato di concedere un’esclusiva a Fsi Sgr, Pay Holding e Bcc Pay. Si tratta di un’esclusiva “finalizzata alla negoziazione e alla definizione dei termini e delle condizioni di una potenziale partnership nei settori dell’issuing e dell’acquiring, con contestuale attivazione di una joint venture, nel cui capitale la banca potrà entrare con una quota significativa”.

I PIANI DELLA BANCA DI CASTAGNA

“Nei piani della banca – ha scritto il Sole 24 ore – si prospetta così la creazione di una joint venture, nel cui capitale piazza Meda potrà entrare con «una quota significativa»: si stima che Banco Bpm rientri nella società con una quota del 30% circa, analoga a quella di Iccrea, e il rimanente 40% a Fsi”.

LA DECISIONE DI BANCO BPM PRO FSI

ll board della banca milanese ha quindi conferito mandato all’amministratore delegato, Castagna, “per negoziare i termini e le condizioni della potenziale operazione, che è soggetta alle autorizzazioni di legge, nonché per procedere all’eventuale sottoscrizione del memorandum of understanding di natura vincolante”.

GLI SCOPI DELL’OPERAZIONE

L’obiettivo? “La nuova partnership potrà portare alla creazione del secondo operatore nazionale per dimensioni, interamente controllato da istituzioni italiane, al quale Banco Bpm intende conferire le proprie attività nel business della monetica, con riconoscimento di un corrispettivo misto per cassa e in azioni comportante benefici anche in termini di capitale”.

LE PROSSIME TAPPE

Nel dettaglio, è prevista la contestuale sottoscrizione di un accordo distributivo che permetterà a Banco Bpm di “preservare i livelli commissionali running (circa 140 milioni di euro nel 2022) e di sfruttare tutto il potenziale di valorizzazione – quantificabile in oltre 2 miliardi di euro in termini di NPV – in un settore ad alto potenziale di crescita in termini di volumi e di ricavi”.

I NUMERI DEL PROGETTO

Banco Bpm quantifica il “net present value”, ovvero il potenziale di valorizzazione, in oltre 2 miliardi di euro: una cifra, questa, che comprende l’attualizzazione del valore delle commissioni nette ricorrenti del business dei pagamenti dei dieci prossimi anni, che sono state pari a 140 milioni circa nel 2022, ha sottolineato il Sole 24 ore.

IL COMMENTO DI REPUBBLICA

Ha chiosato Repubblica: “Un po’ a sorpresa il cda di Banco Bpm ha concesso al fondo Fsi guidato da Maurizio Tamagnini un’esclusiva per negoziare la “valorizzazione del business della monetica” (i pagamenti). La sorpresa deriva dal fatto che in corsa c’erano anche Nexi, il campione europeo del settore controllato dalla Cdp, e una joint venture tra il gruppo Worldline e il Crédit Agricole che di Banco Bpm è azionista con il 9,9%. Evidentemente l’offerta del fondo Fsi si è rivelata significativamente migliore delle altre, sia per corrispettivo che per strategicità per il Banco visto che l’esclusiva è “finalizzata a una potenziale partnership con attivazione di una joint venture, nel cui capitale la banca potra’ entrare con una quota significativa”. E l’italianità dell’operazione potrebbe questa volta aver giocato contro i francesi. L’obiettivo dichiarato, infatti, è quello della creazione del secondo operatore nazionale per dimensioni, interamente controllato da istituzioni italiane”.

CHI È E COSA FA FSI

Fsi è una società di gestione del risparmio cui fa capo il maggiore Fondo di investimento in capitale di rischio interamente dedicato all’Italia e uno dei tre maggiori europei dedicato ad un solo Paese, con una dimensione di 1,4 miliardi di euro. Fsi ha sede a Milano, è operativa dal 2016 e ha come obiettivo quello di promuovere l’ingresso delle eccellenze dell’imprenditoria italiana al mercato di capitali.

CHI SONO GLI AZIONISTI DI FSI

Come si evince dalle informazioni riportate sul sito di Fsi, la compagine degli investitori è eterogenea per asset class e per provenienza geografica e include Il Fondo europeo per gli investimenti, banche, assicurazioni e asset manager europei, fondazioni bancarie, casse di previdenza, family office di gruppi industriali e fondi sovrani di Medio Oriente, Estremo Oriente e Asia Centrale, alcuni dei quali hanno già operato con il team di FSI nella precedente esperienza del Fondo Strategico Italiano. Un anno fa Cassa depositi e prestiti ha ceduto la partecipazione del 39% in Fsi allo stesso fondo guidato da Tamagnini.

LA DISTRIBUZIONE PER ASSET CLASS

Sempre dal sito del Fondo guidato da Tamagnini si scopre che i soci più rilevanti sono gli investitori istituzionali italiani, con una quota del 40%, seguiti dalle assicurazioni (22%) e dai fondi sovrani (16%). Presenti anche le banche (12%), gli investitori istituzionali esteri (8%) e i family offices (2%), ovvero le società che gestiscono ricchezze e investimenti di una famiglia facoltosa.

LA DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA

Proprio in riferimento alla provenienza degli azionisti si scopre dunque che gli investitori italiani sono pari al 70% mentre quelli internazionali sono il 30%.

LE ULTIME MANOVRE DI FSI

Fsi, che è partner italiano della Ion dell’imprenditore Andrea Pignataro, ha puntato di recente su Cedacri (passato da 360 milioni a 1,5 miliardi di valore) e Cerved, dove è presente in minoranza, ha aggiunto il Sole 24 ore: “In Bcc Pay, la monetica delle banche cooperative, Fsi ha investito 200 milioni di euro quasi un anno fa. In ambito tecnologico Fsi ha poi rilevato una quota del gruppo Lynx. Nelle quattro aziende in cui ha disinvestito ad oggi, accompagnandole nello sviluppo, il fatturato è passato da 2,5 a 3,5 miliardi di euro e l’Ebitda da 300 a 500 milioni”.

LE MIRE DI TAMAGNINI

Nelle scorse settimane il Corriere della Sera ha scritto Maurizio Tamagnini, amministratore delegato di Fsi che ha organizzato l’operazione, ritiene che parlare di polo del fintech italiano sia limitativo: meglio sarebbe dire grande gruppo digitale del made in Italy. L’intenzione del capo azienda di Fsi è fare dell’italiana Cedacri, sposandola alla Ion dell’imprenditore Andrea Pignataro (7 mila clienti nel mondo, oltre 2 miliardi di ricavi dichiarati, 26 acquisizioni concluse per 10 miliardi di dollari), con veicoli finanziari tra Irlanda e Lussemburgo, la Sia della tecnologia bancaria, la piattaforma di software e tecnologia per le banche in tutta Europa e non solo. E l’operazione con Bpm sembra rientrare proprio in questa logica.

IL COMMENTO DEL SOLE 24 ORE

La scelta di Banco Bpm – ha rimarcato il Sole 24 ore – conferma “il clima di sintonia esistente tra piazza Meda e il Fondo strategico, che è già presente con il 9% nel capitale di Anima, colosso italiano del risparmio gestito. Il veicolo guidato da Maurizio Tamagnini, che nel deal è assistito da Vitale&Co, ha vinto la concorrenza di Worldline e soprattutto Nexi, che fino all’ultimo sembrava rimasta in partita”.

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