Skip to content

Iran

Vi racconto come sta l’economia dell’Iran

L'economia dell'Iran: numeri, problemi, analisi e scenari. L'approfondimento di Luca Fortis

 

In Iran anche i venditori abusivi di verdure hanno il pos per il bancomat, lo si può usare perfino per comprare una singola sigaretta dal giornalaio. Piccolo miracolo di un paese tagliato fuori dal sistema bancario internazionale e in cui non esistono le carte di credito. Con l’iper inflazione gli iraniani hanno infatti scoperto che è più comodo girare con il bancomat che con pacchi di contanti da migliaia di Real. Anche gli abusivi lo hanno capito e complice un sistema fiscale diverso dal nostro si sono forniti di pos per vendere anche pochi pomodori illegalmente per strada.

La crisi economica e sociale iraniana è sempre più forte. La maggior parte degli iraniani non crede più nel sistema, che percepisce come irriformabile, ma è anche stanca delle sanzioni americane. Si sente come in un vicolo cieco. Tutti vorrebbero maggiori libertà, anche se per motivi differenti. Vaste parti del paese, soprattutto nelle città, vorrebbero maggiore laicità, ma esistono tante altre opposizioni.

C’è un’opposizione islamica, che vorrebbe tornare alla tradizionale libertà di interpretazione del Corano, liberandosi della ragnatela di norme della Repubblica Islamica, come per esempio i sufi.

Vi sono poi le minoranze linguistiche come azeri, beluci e arabi e anche le grandi tribù nomadi che chiedono maggiori spazi per la vita civile.

Vi sono poi le classi più povere, le più colpite dalle sanzioni e dal taglio ai sussidi sulla benzina e altri prodotti. Tutto questo ha creato una situazione potenzialmente instabile. Da tre anni il paese ha visto ondate di proteste una dopo l’altra.

Tutto iniziò a Mashad nel dicembre del 2017 quando una manifestazione contro il carovita diede il via a un’ondata di proteste in tutto l’Iran, in molti casi pacifiche, altre anche contraddistinte da assalti a simboli e proprietà del regime.

L’instabilità è continuata poi come un fiume carsico fino al novembre 2019, quando in tutto il paese sono esplose nuove, violente proteste dopo la decisione di tagliare i sussidi sul petrolio che ha provocato un considerevole aumento del prezzo del carburante. Le forze di sicurezza in alcune aree del paese hanno sparato sulla folla per fermare le proteste e hanno bloccato la rete internet per circa 10 giorni consecutivi.

Anche la crisi legata all’uccisione del generale Soleimani, da parte del governo americano, non ha rafforzato il regime. Infatti, se il generale era amato da molti per motivi nazionalistici, era anche vero che non solo non era amato dalla sinistra e dai laici, ma nemmeno da molti conservatori.

Infatti, anche in Iran, come in tanti altri paesi, vi sono persone che pensano che vista la crisi economica, bisognerebbe spendere soldi per gli iraniani, invece che spenderli in Iraq, Siria e Libano. Una sorta di “Iran first” non lontana dal pensiero di tante destre in giro per il mondo. Soleimani veniva visto da molti poveri come il maggiore responsabile di questa politica espansionistica iraniana.

Nonostante tutto ciò l’Iran rimane un paese dal grande potenziale economico. Rimane uno dei venti paesi più ricchi al mondo, non solamente perché è il terzo paese al mondo per le riserve di petrolio e il secondo per il gas, ma anche perché è un paese industriale e con una millenaria propensione al commercio. Basti pensare alla tradizione dei bazar e della via della Seta.

Il tessuto industriale è formato da piccole e medie imprese private, fino a 50 addetti, operanti nei settori alimentare, delle bevande analcoliche e gasate, calzaturiero, del tessile e dell’abbigliamento, dei materiali da costruzione, dei prodotti elettrici e dell’elettronica, delle macchine utensili. L’iniziativa privata è inoltre rilevante nelle produzioni agricole, soprattutto quelle tradizionali come lo zafferano e i pistacchi e nell’edilizia.

Basta leggersi le statistiche e le analisi di infoMercatiEsteri, il sito della Farnesina, per scoprire molti dati utili per analizzare il paese. Gli iraniani sono da sempre pro business e il sistema privato è molto sviluppato.

Uno di punti deboli è però la forte presenza dello Stato e di gruppi politici nell’economia privata. Una debolezza che ha fatto sì che spesso le sanzioni americane contro eventuali gruppi considerati terroristici da Washington, finissero per toccare anche le imprese da esse controllate.

Queste sanzioni, aggiungendosi a quelle che il governo americano impone contro qualunque azienda mondiale faccia affari con l’Iran, si sono rivelate disastrose per il paese.

Il coinvolgimento delle autorità governative, in maniera diretta o indiretta, nelle attività produttive e commerciali, provoca poi rischi in termini di inefficienza.

Le autorità controllano infatti prezzi e quantità nei settori energetico, agricolo, creditizio e valutario. Esistono poi le Fondazioni religiose, le Bonyad, che gestiscono interi comparti ospedalieri e di assistenza sociale, cooperative agricole, costruzioni popolari e progetti turistici, oltre ad ampi settori dell’industria leggera e pesante.

L’Iran ha una popolazione giovane, il 60% degli ottanta milioni di iraniani ha meno di trenta anni. Questo da una parte è punto di forza perché rende la società dinamica, dall’altra può rendere la situazione esplosiva se questi giovani sono insoddisfatti e disoccupati. L’indice base di povertà è contenuto ma una grossa parte della popolazione vive a ridosso della soglia minima. Secondo le cifre ufficiali diramate dalle autorità, il tasso di disoccupazione si attesterebbe al 10,6,%, con punte del 25,7%.

Il paese vanta una buona rete di telecomunicazioni e di strade, porti e aeroporti, meno buona è la rete dei treni che sono molto vecchi.

Uno dei segni più evidenti delle sanzioni economiche è l’iper inflazione. Il deprezzamento della moneta nazionale, il Rial, sta esercitando forti pressioni sul tasso di inflazione che si attesterebbe, secondo le stime, a circa il 34,2% su base annua a fine 2020. In Iran esiste un cambio fisso per l’importazione di beni “essenziali” come generi alimentari e prodotti farmaceutici, ma ciò non ha impedito un’inflazione galoppante su tutti gli altri.

Gli analisti della Farnesina su infoMercatiEsteri mettono in luce come negli ultimi anni il PIL e le entrate dell’erario iraniano dipendono in misura sempre minore dagli introiti delle vendite degli idrocarburi (petrolio e gas) e loro derivati (prodotti petrolchimici, fertilizzanti etc.) e quindi non sono da considerarsi intrinsecamente dipendenti dalle fluttuazioni dei prezzi internazionali delle materie prime come in passato. Le sanzioni internazionali hanno comportato la necessità di diversificare le fonti di raccolta fiscale, riducendo la dipendenza dal petrolio. Il Governo ha emesso bond locali e sono state ridotte le esenzioni da imposte, sussidi e le spese correnti, con un parallelo aumento dei controlli per contrastare l’evasione fiscale. Contemporaneamente è stato previsto un incremento delle spese per investimenti.

Il sistema bancario iraniano è stato uno di quelli che ha sofferto di più la decisione americana, annunciata l’8 maggio 2018, di recedere dal Jcpoa, l’accordo sul nucleare iraniano e di reintrodurre conseguentemente sanzioni unilaterali contro l’Iran.

La congiuntura economica negativa registrata nel 2018, caratterizzata da criticità legate al sistema bancario, alla crisi di liquidità, alla disoccupazione, all’inflazione e alla perdita di potere di acquisto della moneta, è stata acuita dal fatto che la Banca Centrale iraniana non è connessa al sistema Swift dal quale è stata esclusa a seguito delle sanzioni.

Il sito della Farnesina ricorda che su mandato del governo Rouhani, la Banca Centrale (Bci) ha avviato la chiusura delle tante banche informali che proliferavano nel paese e ha portato avanti un processo di ristrutturazione dell’intero sistema bancario iraniano. Attualmente, solo poche banche italiane, di piccole dimensioni, svolgono transazioni con l’Iran.

Il sistema presenta un elevato livello di sofferenze che, secondo i valori riportati dalla medesima Banca Centrale, si attestano al 12% del totale degli impieghi creditizi. Alcuni analisti internazionali stimano un valore effettivo prossimo al 30%. Al fine di risolvere il problema del credito deteriorato presente nei bilanci bancari le autorità stanno studiando la creazione di una “bad bank” che consenta di smobilizzare le sofferenze.

Il commercio e gli investimenti esteri sono i settori che sono stati più toccati dalla decisione americana di uscire dall’accordo sul nucleare iraniano.

Esfandyar Batmanghelidj ha scritto ultimamente su Bloomberg Opinion che l’Iran non può nemmeno più contare su un appoggio incondizionato della Cina. Sembra infatti che pur di risolvere il contenzioso commerciale con gli americani, il governo cinese abbia fatto importanti concessioni a Washington.

La Cina è diventata particolarmente diffidente dopo che, il 10 gennaio, l’amministrazione Trump ha emesso l’Ordine esecutivo 13902, che aggiunge nuove sanzioni all’Iran, colpendo questa volta i settori della costruzione, dell’estrazione mineraria, della produzione e del tessile. La Banca di Kunlun, l’istituzione finanziaria al centro del commercio Cina-Iran ha quindi informato i suoi clienti iraniani che dopo il 9 aprile non avrebbe più accettato alcun accordo commerciale nelle costruzioni, nelle miniere, nella manifattura e nell’industria tessile e avrebbe limitato i suoi servizi a forniture umanitarie e industrie non sono sanzioni.

Le importazioni di petrolio hanno poi subito la crisi del Covid-19 che ha fermato le imprese in mezzo mondo.

I dati diffusi giovedì dall’amministrazione doganale cinese mostrano che le importazioni di petrolio iraniano dichiarate a marzo ammontavano a soli 115 milioni di dollari, in calo dell’89%. L’ultima volta che il valore delle esportazioni mensili di petrolio dichiarate dall’Iran verso la Cina è stato così basso era venti anni fa. Anche la domanda di petrolio iraniano riesportato attraverso la Malaysia è precipitata.

L’uscita degli americani dal trattato sul nucleare iraniano ha bloccato anche i negoziati per l’ingresso dell’Iran nel Wto (World Trade Organisation).

Il Paese è membro dell’Eco (Economic Cooperation Organisation), organizzazione regionale costituita nel 1985 da Iran, Turchia e Pakistan con lo scopo di promuovere la cooperazione nei settori economici, culturali e tecnologici. Nel 1992 vi hanno aderito altri sette Paesi: Afghanistan, Azerbaigian, Kazakistan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan.

La Russia ha dichiarato di appoggiare l’ingresso di Teheran nella Shangai Cooperation Organization (Sco – che comprende Cina, Russia, India, Pakistan, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan e Uzbekistan), mentre si osserva un coinvolgimento sempre più concreto di Teheran all’interno dell’Eurasian Economic Union (Eeu – Russia, Bielorussia, Kazakistan, Armenia e  Kyrgyzstan).

Secondo i dati Istat, riportati da su infoMercatiEsteri, la meccanica strumentale esercita il peso più ampio nel quadro della composizione dell’export italiano in Iran, seguita dalla farmaceutica, da strumenti e forniture mediche e dai prodotti chimici.

Secondo la Farnesina, la collaborazione economica italo-iraniana, si legge, “può tuttora beneficiare di un quadro di conoscenza e fiducia reciproca che l’Italia si è guadagnata nel corso di decenni di apprezzate attività delle aziende nazionali, soprattutto nel settore petrolifero, petrolchimico, siderurgico, energetico, meccanico, infrastrutturale e dei trasporti”. In ambito UE, l’Italia si conferma tra i principali partner commerciali dell’Iran. Nel 2017 l’interscambio ha raggiunto i 5,1 miliardi di euro. L’Italia è stato il primo partner tra i Paesi UE, nel 2018, il volume dell’interscambio è stato di 4,6 miliardi di euro. A causa del contesto internazionale, i dati del 2019 hanno fatto registrare una sensibile contrazione, circa 1 miliardo di euro.

Il livello di interesse per l’Iran, scrive la Farnesina, rimane alto. Alcune Regioni italiane, in particolare Lombardia, Emilia Romagna e Marche, hanno svolto visite e avviato collaborazioni in settori specifici. Le numerose missioni istituzionali degli ultimi tre anni, sempre associate a una presenza imprenditoriale, hanno favorito il rafforzamento dei contatti e avviato una nuova fase che punta a facilitare sia le relazioni commerciali, sia gli investimenti produttivi.

Per tentare di superare la sanzioni americane e aiutare chi vuole investire nel paese, a febbraio 2019 l’Alto Rappresentante dell’Ue per la politica estera e di sicurezza e i Ministri degli Affari Esteri di Francia, Germania e Regno Unito hanno annunciato la creazione di Instex, Instrument for Supporting Trade Exchanges. La corrispondente struttura iraniana, Special Trade and Finance Institute – Stfi è stata registrata a marzo 2019. Lo strumento per ora non appare avere rilanciato come la Ue e l’Iran speravano le relazioni economiche.

L’Iran è stato pesantemente colpito dalla crisi del Covid-19 e i suoi ospedali, privi di molte strumentazioni a seguito delle sanzioni, non hanno retto. Questo ha portato molti a chiedere agli Stati Uniti un alleggerimento delle sanzioni. Washington si è rifiutata sostenendo che molte importazioni umanitarie sono consentite.

Molti altri paesi in Asia ed Europa hanno invece deciso di inviare all’Iran strumentazione medica. Non è sempre facile inviare macchinari medici perché alcuni possono essere sospettati di “double use”. Alla fine il U.S. Department of State e il Dipartimento del Tesoro hanno lanciato l’Accordo Svizzero per il Commercio Umanitario (Shta) nel febbraio 2020 dopo lunghe trattative tra gli U.S.A. e il governo svizzero. Novartis ha effettuato un’operazione pilota in gennaio attraverso la Banque de Commerce et de Placements, inviando 2,6 milioni di dollari in medicine per il cancro e il trapianto di organi in Iran.

Gli Stati Uniti hanno anche esteso l’esenzione dalle sanzioni consentendo all’Iraq di continuare ad importare gas ed elettricità iraniani. In precedenza, tali deroghe sono state concesse per 120 o 45 giorni. Ma il periodo è stato ridotto a 30 giorni, per aumentare la pressione sull’Iran

Rimane la curiosità di come la Coca Cola invece da decenni produca le sue bevande a Mashad grazie a una particolare licenza rilasciata dal governo americano.

Molti iraniani sono stanchi delle sanzioni, ma sono anche stanchi per le spese del regime per Siria, Libano, Iraq, non ne possono più della mancanza di libertà e della cappa creata dal regime. Un vicolo cieco da cui è difficile uscire.

Torna su