Merry Christmas and Happy New Year. Senza virgolette e senza tradurre: ormai suona familiare, soprattutto in questi giorni. O meglio, familiare no: suona solo comprensibile.
Da quando il Regno Unito è uscito dall’Unione europea, un paradosso s’aggira per il Vecchio Continente: l’inglese è rimasto lingua ufficiale dell’Ue, ma il Paese che la rappresenta non c’è più. Merry Christmas è una lingua fantasma, eppur dominante. Come si fa, d’altronde, a comunicare tra popoli e governi che si parlano in 24 lingue diverse?
Per convivere con l’inglese pigliatutto, la strada dell’Europa plurilingue è ancora lunga e impervia. Salvaguardare la propria lingua materna dall’assedio dell’idioma che, soprattutto sull’onda potente degli Stati Uniti, tracima e trascina a sé ogni lingua nazionale: questo è il problema.
Già autore del ragionato vocabolario “Italiano Urgente” (Reverdito editore, prefazione Tullio De Mauro) che ha raccolto e raccontato l’uso di 500 anglicismi tradotti in italiano sul modello dello spagnolo, il professore, studioso e traduttore italo-peruviano Gabriele Valle è un pioniere sul tema. Ecco come non berci più il nudo e crudo inglese nella deliziosa lingua italiana. Basta seguire gli esempi preziosi delle Nazioni-sorelle di lingua neolatina, che dalla Francia alla Spagna, dal Portogallo alla Romania traducono sempre l’anglicismo o l’adattano alla fonetica e alla grafia delle loro lingue nazionali. Altro che “stalker”, “outfit”, “booster”, “smart working”, “feedback” e via mortificando la bella lingua col tipico provincialismo di chi l’inglese lo conosce poco e lo pronuncia peggio.
“Che italiano vogliamo preservare?”, domanda e si domanda il professor Valle, che insegna alla Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Trento. “Di solito sono i mezzi di comunicazione a dettare le abitudini linguistiche. L’inglese della regina Elisabetta mutò nel tempo. All’inizio del suo regno lei si esprimeva in un eloquio aristocratico; alla fine in un registro medio, affermato dalla televisione di Stato. Anche in Italia le usanze vengono foggiate dai mezzi informativi, che sono affetti però da un grado di anglomania senza uguali nel cosmo latino. Ho scritto che, per mantenere sano l’italiano, sarebbe opportuno contare sull’impegno dello Stato e del giornalismo. Ho pure suggerito che ci sia un ente, come in Spagna, che faccia da parafulmine per contenere gli anglicismi. La Crusca dovrebbe svolgere quella funzione, ma non lo fa sempre con solerzia. Forse la Treccani o l’Ansa potrebbero fare qualcosa al riguardo. Il parlante italiano è abbandonato alla sua sorte”.
Dalla Real Academia che cosa potremmo o dovremmo imparare?
“L’Accademia spagnola lavora in collaborazione con tutte le accademie del mondo ispanofono. Attua una politica pan-ispanica volta a mantenere l’unità dello spagnolo colto. Di fronte agli anglicismi, tende a proporre sostituti, i quali vengono incanalati tramite il consultorio per lo Spagnolo Urgente (Fundéu). Nessuno crede più nel purismo, inteso come scudo contro i forestierismi. Le lingue sono ‘contaminate’ dallo scambio reciproco. La ‘contaminazione’ è una virtù che le arricchisce. Ma l’assimilazione delle voci straniere avviene attraverso la traduzione (grattacielo, da skyscraper) o l’adattamento (sceriffo, da sheriff). L’italiano ha un sistema immunitario debole. C’è il rischio che l’itanglish diventi la lingua ufficiale!”.
L’Accademia della Crusca si batte da tempo per aggiungere tra i principi della Costituzione che l’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica. Perché sarebbe importante riaffermare l’ovvio?
“Per lo stesso motivo per cui lo hanno già fatto circa centottanta Paesi nel mondo. Una lingua ufficiale consente di mettere in piedi, su solida base, una politica di promozione e di difesa. La maggior parte delle repubbliche americane, nella loro legge suprema, riconosce una lingua ufficiale. La Costituzione del Salvador, andando oltre, impone al governo di garantirne la conservazione e l’insegnamento. Nell’Europa latina ogni Stato ha una lingua ufficiale. Per la Spagna, tutti i cittadini hanno il dovere di conoscere lo spagnolo e il diritto di esprimersi in esso. Saggia scelta, che non lede affatto la libertà linguistica delle minoranze, le cui parlate sono comunque tutelate. Ma con l’italiano in Costituzione un docente universitario, per richiedere al ministero una sovvenzione destinata a finanziare un progetto di ricerca, non sarebbe più costretto a fare domanda in inglese”.
A proposito di docenti: il ruolo della scuola per la bella lingua?
“La salvezza dell’italiano passa proprio per l’aula. Per preservarlo, sarebbe utile sensibilizzare i nostri scolari in modo da creare una consapevolezza linguistica che non è frequente in Italia. La lingua non è un mero strumento. Contiene una visione del mondo plasmata da un popolo. Ne costituisce il tesoro spirituale più importante. Può darsi che, in futuro, i nostri giovani scelgano scientemente, e con orgoglio, di salvaguardare il ricco patrimonio che hanno ereditato, senza privarsi dei contributi che le lingue straniere danno all’italiano”.
(Pubblicato sul quotidiano Alto Adige)