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Tutte le spaccature fra trumpiani sulla Cina

Diversità di vedute fra trumpiani sulla Cina. Che cosa ha svelato il settimanale britannico The Economist

L’approccio dell’amministrazione Trump nei confronti della Cina, presa ripetutamente di mira con provvedimenti in sequenza e incrementali in materia di dazi e restrizioni all’export, appare sempre più caotico. Ma, come nota The Economist in un recente articolo, dietro a tale escalation sembra celarsi non una strategia complessiva e coerente verso Pechino ma qualcosa di simile al caos. All’interno dell’amministrazione, infatti, si stanno accentuando gli scontri tra i principali consiglieri del Presidente ormai divisi in fazioni con visioni molto diverse se non opposte.

Strategia o caos?

Tale lotta intestina, secondo l’Economist, vede misurarsi da un lato i cosiddetti primacists, ossia coloro i quali sono stati arruolati da Trump con l’obiettivo esplicito di riaffermare il dominio globale degli Stati Uniti; i “prioritari”, secondo i quali gli Usa dovrebbero dare la priorità al redde rationem con la Cina a scapito di altri dossier come quello ucraino; e i “restrittivi”, vale a dire quei consiglieri che ritengono indispensabile abbracciare una forma più o meno estrema di isolazionismo.

Il conflitto tra queste tre anime si sta acutizzando ed è venuto più volte a galla, oltre ad essere stato aggravato da alcune epurazioni all’interno del Consiglio di Sicurezza Nazionale (NSC), che. sempre a detta dell’Economist, segnalano l’indebolirsi del gruppo dei tradizionali falchi anti-cinesi, senza però lasciare intuire chi in questo momento stia prevalendo. Il risultato è che la politica cinese della Casa Bianca appare sempre più segnata dall’imprevedibilità.

Le epurazioni e il caso Feith.

Il 3 aprile sei funzionari del NSC sono stati licenziati o riassegnati ad altro incarico a seguito delle pressioni esercitate da una figura molto influente all’interno del mondo Maga, oltre che intima di Trump, con un’inclinazione particolare alla coltivazione di teorie cospirazioniste come Laura Loomer.

La vittima più illustre è il direttore senior per la tecnologia David Feith, noto esperto di Cina nei cui confronti ha sempre auspicato il pugno di ferro proponendo ad esempio forti restrizioni agli investimenti cinesi e il rafforzamento delle alleanze nel quadrante dell’Indo-pacifico con attori quali il Giappone, la Corea del Sud e le Filippine.

A fare di Feith un bersaglio particolarmente significativo è l’essere il figlio di un politico di lungo corso come Douglas Feith, noto per essere uno dei principali teorici del neoconservatorismo e per aver svolto un ruolo da falco all’interno dell’amministrazione guidata da Bush jr con particolare riguardo alla sua ferma convinzione della necessità di invadere l’Iraq,

L’epurazione di David acquista dunque un valore più che simbolico perché rappresenta una vittoria per i cosiddetti restrittivi che vedono in figure come Feith un leader troppo incline a ricercare lo scontro con la Cina anche a rischio di un’escalation militare. La sua rimozione, tuttavia, segna per l’amministrazione Trump la perdita di preziose competenze su queste materie.

I casi Kanapathy e Wong.

A finire nel mirino sono stati poi altri due falchi di spicco il primo dei quali è Ivan Kanapathy, direttore senior per l’Asia e strenuo sostenitore di Taiwan con alle spalle una lunga esperienza diplomatica e militare nella regione. Il secondo è il vice consigliere per la sicurezza nazionale Alex Wong, attaccato anche per le sue origini cinesi malgrado il suo lungo e coerente impegno per l’adozione di severe politiche anti-Cina.

Pur essendo rimasti in carica, entrambi sono stati indeboliti dagli attacchi di Loomer ma soprattutto dalla recente perdita di influenza del loro superiore, il Consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, che possiamo tranquillamente ascrivere nel novero dei falchi.

L’ascesa di Colby.

Se le politiche cinesi della Casa Bianca stanno ondeggiando, è anche per la nomina al Pentagono, con le funzioni di sottosegretario alla difesa per le politiche, di Elbridge Colby.

Colby, che aveva già lavorato al Pentagono durante il primo mandato di Trump, è da annoverare tra i “prioritari” che vedono la Cina come la principale minaccia strategica, come evidenziato da un suo libro in cui predica il più fermo contrasto all’egemonia cinese oltre ad insistere sulla difesa ad oltranza di Taiwan.

Le posizioni del nuovo sottosegretario hanno comunque conosciuto di recente una evoluzione, i cui principali elementi sono la proposta che Taipei aumenti la spesa militare al 10% del Pil e che la Corea del Sud si assuma maggiori responsabilità nel campo della difesa della regione.

Sostenuto dal vicepresidente J.D. Vance, Colby sembra cercare ora un nuovo equilibrio con la Cina che, se da un lato vuole evitare provocazioni inutili e pericolose, ha suscitato qualche preoccupazione tra gli alleati asiatici che temono un disimpegno americano.

Il ruolo di Marco Rubio.

Malgrado sia una delle figure più popolari dell’amministrazione e si sia distinto per posizioni non meno dure o addirittura più aggressive dei consiglieri citati in precedenza, il Segretario di Stato Rubio sembra aver perso molta della sua influenza oltre che l’orecchio dello stesso Trump.

Ciò si deve al ruolo crescente svolto da figure come il direttore della pianificazione politica dello stesso Dipartimento di Stato Michael Anton, che si oppone alla difesa di Taiwan, e da nomine come quella di Michael DeSombre, un avvocato con scarsa esperienza diplomatica ma che potrebbe essere presto chiamato candidato a guidare il Dipartimento che segue gli affari dell’Asia orientale.

A indebolire il ruolo del Dipartimento guidato da Rubio è stato anche il recente pensionamento anticipato di alcuni esperti di affari cinesi dello stesso Dipartimento, il che suggerisce che il suo titolare è destinato a perdere ulteriore influenza nella promozione di politiche aggressive da lui predicate come l’invocazione di sanzioni contro la Cina e l’adozione di nuove e più stringenti restrizioni tecnologiche contro Pechino.

Prospettive e rischi.

Tutto questo suggerisce che le politiche cinesi della Casa Bianca saranno segnate da contraddizioni e incoerenze, linea del resto con quanto sta facendo lo stesso presidente che continua a lanciare messaggi ambigui verso Pechino che non escludono nemmeno attestazioni di lode nei confronti di Xi Jinping

In ogni caso l’indebolirsi della fazione dei falchi potrebbe spingere addirittura Trump a ricercare un accordo complessivo e al ribasso con Pechino, anche se ciò potrebbe andare a scapito della finora strenua difesa di Taiwan.

Non si può quindi escludere che il Dragone interpreti tali sommovimenti interni all’amministrazione Trump come altrettanti segnali di debolezza che potrebbero incoraggiarlo a tentare un colpo di mano militare contro l’isola ribelle.

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