Vi è una incredibile concentrazione sul dolore in tutti (o quasi) i telegiornali. E’ certamente doveroso raccontare le sofferenze delle guerre anche se la loro misura, le loro storie, non dovrebbero essere mai acriticamente desunte da una sola delle fonti. Nel caso del conflitto mediorientale le violenze subite dagli israeliani nel tristemente noto sette ottobre e quelle degli ostaggi nel periodo della prigionia sono invece state spesso censurate perché terribili e sconvolgenti con l’esito di una asimmetria emozionale negli spettatori.
I notiziari tuttavia vanno oltre gli scontri bellici e indugiano quotidianamente sui fatti di cronaca fino alle morti causate dal maltempo o dagli infortuni stradali. E perfino in questi ultimi casi non ci si limita alla notizia e al pur doveroso approfondimento delle cause ma si cercano addirittura le ovvie reazioni di dolore dei vicini di casa.
Ora il problema non è tanto in ciò che viene utilmente raccontato, soprattutto quando si tratta di evidenziare la patologia della guerra o di taluni comportamenti sociali, quanto nella pochezza o assenza delle notizie positive. Come se gli spettatori si presuma siano interessati solo alle negatività.
Eppure, per fortuna, la vita ci regala anche le azioni coraggiose e generose di molti protagonisti della società civile e dell’economia. Una maggiore rappresentazione dei comportamenti virtuosi da un lato corrisponderebbe alla reale complessità delle cose umane, all’incrocio indissolubile tra il bene e il male e, dall’altro, costituirebbe motivo di speranza, di incoraggiamento alla emulazione delle attività positive.
La paradossale censura del bene può condurre molti spettatori a ritenere che la vita sia priva di senso e che non valga la pena di essere vissuta, tantomeno chiamando altri a condividerla con la procreazione.