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Tutti i conti che non tornano sulla strage di Fiumicino 1973

Numeri, responsabili e dubbi sulla strage di Fiumicino del 17 settembre 1973, quando l'organizzazione palestinese Settembre Nero fece trentadue vittime. L'approfondimento di Giordana Terracina.

La matematica non è mai stata il mio forte a scuola. Troppi numeri e calcoli, per me che preferivo perdermi tra mille pensieri diversi. Tuttavia è indubbio che tale disciplina è rapportabile a qualsiasi evento della nostra vita quotidiana e dunque anche alla nostra storia.

Proviamo a partire per esempio dalla data di oggi e facendo un passaggio ulteriore, arriviamo al 17 dicembre 1973.

Un giorno difficile per la nostra Repubblica, macchiato dal sangue di 6 italiani, Antonio Zara, Domenico Ippoliti, Giuliano De Angelis, Emma Zanghi in De Angelis, Monica De Angelis e Raffaele Narciso, uccisi da Settembre Nero durante un attentato a Fiumicino. A queste morti si unirono quelle di altre 26 persone, per arrivare a un totale di 32 vittime e il ferimento di 17.

E da tale numero iniziano i miei problemi con l’aritmetica.

Impostiamo il problema, partendo dai dati: una strage in aeroporto, 32 morti e 17 feriti. Intanto, è possibile affermare con assoluta certezza che il risultato della strage comportò conseguenze sia sul piano interno che su quello internazionale, per la politica mondiale. L’incognita, invece, riguarda soprattutto i mandanti, oltre agli autori materiali.

I MANDANTI DELL’ATTENTATO DI FIUMICINO

Per trovare i mandanti iniziamo ad aggiungere al 17 dicembre altre date. Come il 21 ottobre 1974, che segnò l’incontro ufficiale a Beirut tra il ministro degli Esteri francese e Arafat, descritto sulle pagine del New York Times come un riconoscimento ufficiale. Il 28 ottobre 1974, quando a Rabat l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) fu proclamata rappresentante ufficiale del popolo palestinese. Il 13 novembre 1974, giorno in cui Arafat parlò davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il 22 novembre 1974, quando l’organizzazione concesse all’OLP lo status di osservatore. Infine, il 10 novembre 1975, in cui l’Assemblea generale approvò una risoluzione che equiparava il sionismo al razzismo e istituì il Comitato per l’esercizio dei diritti inalienabili del popolo palestinese.

Sommando questi fatti successivi, e se la matematica è una scienza esatta come si dice, posso affermare senza tema d’errore che l’atto terroristico, messo in atto quel giorno di dicembre 1973, ha sicuramente pagato.

A intascare fu Arafat, che prima si vide riconoscere la leadership personale della causa palestinese, a fronte delle numerose organizzazioni che componevano la galassia palestinese dell’Olp e poi, come è stato accertato oramai da anni, ottenne il sigillo sull’accordo noto come lodo Moro, dal nome del ministro degli Affari Esteri di quegli anni.

IL LEGAME TRA ARAFAT E SETTEMBRE NERO

Per risolvere l’equazione resta da aggiungere un ultimo dato, cioè cosa c’entra Arafat con Settembre Nero e il lodo Moro? E forse questo il motivo per cui oggi si considera la strage di Fiumicino una strage dimenticata, nel senso che non si ricorda nel suo anniversario?

L’organizzazione che compì l’attentato a Fiumicino nasceva da una costola del Jihaz al-Rasd, il servizio segreto istituito da Arafat per raccogliere informazioni su Israele e i territori perduti con la guerra del giugno 1967 e per selezionare i nuovi membri di Al Fatah. Un lungo filo che riporta entrambe organizzazioni alla persona del leader palestinese, che dopo la sconfitta degli Stati arabi nella guerra del Yom Kippur del 1973 intuì peraltro che oltre a compiere attentati era necessario tessere rapporti diplomatici. Questo lo portò a investire nell’immagine di capo politico, così come consigliato più volte dall’URSS, che insisteva per la sua partecipazione alla Conferenza internazionale di Ginevra sul Medio Oriente, prevista proprio in quei giorni di dicembre 1973. Sulla scia di quanto prospettato dagli Stati Uniti, non tutti gli Stati europei avevano ben accolto l’iniziativa.

LE PAROLE DI STEFANO GIOVANNONE

Arrivando ora all’ultimo tassello, quello del lodo Moro, è sufficiente riportare le parole pronunciate da Stefano Giovannone, capo centro del Sismi a Beirut, davanti al giudice istruttore di Venezia. Giovannone disse di essere arrivato nei primi anni ’70 nella capitale giordana per prendere contatti con i dirigenti dell’Olp, e dunque Arafat, al fine di evitare all’Italia azioni terroristiche. I colloqui portarono poi infatti al rilascio immediato di Ali Al Tayeb Al Fergani e Ahmed Ghassan, due dei cinque terroristi arrestati a Ostia il 5 settembre 1973 perché trovati in possesso di un certo numero di missili Strela; nel marzo 1974 seguì il rilascio degli altri tre, Amin El Hindi (importante dirigente di Al Fatah, braccio destro di Abu Ayad e uomo di raccordo tra Carlos e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, altro importante tassello dell’OLP), Gabriel Khouri e Mohammed Nabil Mahmoud Azmi Kanj. Per ciascuno fu pagata una cauzione di 20 milioni. Questi tre, fra l’altro, avevano affrontato la prima udienza per i missili di Ostia proprio il 17 dicembre 1973.

Poiché continuo a credere nelle scienze esatte, non posso chiudere senza rilevare il fatto che come giudice istruttore per la strage venne incaricato Rosario Priore, affiancato dal Pm Domenico Sica, lo stesso Priore chiamato in seguito a occuparsi, solo per citare alcuni, anche dell’attacco all’aeroporto di Lod, della bomba di Ustica e persino del secondo attentato a Fiumicino, nel 1985. L’indagine per quest’ultima si concluse con l’archiviazione per l’impossibilità di identificare gli autori della strage, pur essendone stata accertata la presenza a bordo dell’aereo della Lufthansa.

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