Tanti anni fa un caro amico, un giovane aristocratico dell’Italia nord-orientale non privo di una nota di stravaganza (come può accadere talora agli aristocratici che non si siano riconvertiti in grandi imprenditori o in superconsulenti) mi aveva confidato che una sua parente molto stretta era morta, insieme ad altre 80 persone tra passeggeri e equipaggio, nella tragedia del volo Bologna-Palermo del 27 giugno 1982, operato da un DC9 della compagnia privata Itavia. Dopo essere esploso in volo, i resti del velivolo si inabissavano nello specchio di mare tra Ponza e Ustica. Il dubbio sull’origine dell’esplosione (una bomba nascosta sull’aeroplano o un missile) non è stato mai sciolto, almeno finora.
L’amico (anch’egli mancato da tempo), a una mia domanda su quale fosse la sua opinione sull’origine della disgrazia, mi disse, con rassegnata serenità: “non mi aspetto nessuna rivelazione: è evidente che ci sono di mezzo questioni destinate a restare coperte dal segreto, qualunque Stato si comporterebbe allo stesso modo”. Nella stessa chiave negli anni Settanta mi fu raccontato che persone a lei molto vicine riferirono a Inge Feltrinelli di avere “annusato” piste che avrebbero potuto condurre alla verità sulla morte – obiettivamente singolare oltre che tragica – di Giangiacomo Feltrinelli. Secondo la versione ufficiale, Giangiacomo morì per la accidentale deflagrazione di un ordigno esplosivo che l’editore milanese – da anni trasformatosi in una sorta di militante rivoluzionario: siamo nei famosi anni di piombo – stava accingendosi a impiantare, solo soletto, su un traliccio dell’alta tensione della periferia milanese, nel marzo del 1973 se non ricordo male. Inge chiese ai suoi volonterosi amici di desistere subito da ogni ricerca sulla morte del marito.
Certo, quelle che ho appena riferito non sono le reazioni comuni della gente comune, categoria cui appartengo, sicché intuisco sia le necessità della vita che ti obbligano a rincorrere quanto meno una riparazione pecuniaria sia l’umanissimo desiderio di vendetta che ti porta a interrogarti ininterrottamente sul perché e soprattutto sul per chi una persona cui eri esistenzialmente legato ha perso la vita in circostanze oscure.
Mi sono tornati in mente, questi ricordi di tanti anni fa, nei giorni scorsi quando (col primo fine di rappresentare un contrasto tra la presidente del Consiglio e il capo dello Stato, e col secondo di sorvolare su eventi a quanto pare non ritenuti adatti al pubblico italiano, l’atto di rinvio a giudizio di Donald Trump per i fatti del 6 gennaio 2021 a Washington e poi l’abbassamento del rating del debito pubblico americano) sulla stampa mainstream è stata messa in scena l’ennesima crisi politica tra la Meloni e Mattarella: la prima era additata al pubblico ludibrio per non avere esplicitamente denunciato il marchio “fascista” di un’altra strage, quella della stazione ferroviaria di Bologna Centrale del 2 giugno 1980: 85 morti e 200 feriti. Il presidente della Repubblica veniva invece portato sugli scudi per avere ricordato apertis verbis la “matrice neofascista” della strage, confermata dai processi che hanno chiuso – almeno per il momento – gli accertamenti e i dibattimenti giudiziari su quest’altra tragedia.
Siccome sono convinto che anche Mattarella sia passibile di critiche (ci mancherebbe altro!) ma che non sia né stupido né appannato dall’età, a differenza di qualche Suo collega (ma non facciamo nomi), sono andato a leggere la dichiarazione del Presidente. Vista l’enfasi di alcuni giornali mi aspettavo che il presidente della Repubblica avesse anche intonato, questo 2 giugno, Bella Ciao…
Ecco le testuali parole del Presidente sulla materia del contendere: “L’Italia ha saputo respingere gli eversori assassini, i loro complici, i cinici registi occulti che coltivavano il disegno di far crescere tensione e paura”.
È servita la mobilitazione dell’opinione pubblica. È servito l’impegno delle istituzioni. La matrice neofascista della strage è stata accertata nei processi e sono venute alla luce coperture e ignobili depistaggi, cui hanno partecipato associazioni segrete e agenti infedeli di apparati dello Stato. La ricerca della verità completa è un dovere che non si estingue, a prescindere dal tempo trascorso. È in gioco la credibilità delle istituzioni democratiche”.
Più che dire che la ricerca della verità completa è un dovere che non si estingue, a prescindere dal tempo trascorso, che altro dove fare il Capo dello Stato per allontanare da sé il sospetto di avere voluto spedire un messaggio trasversale alla Premier? Doveva tacere la versione ufficiale contenuta in sentenze definitive?
L’unica cosa che non riesco a condividere del messaggio del Presidente è quel riferimento alla credibilità delle istituzioni democratiche. Intravedo un eccesso di zelo nella pretesa di attribuire alle “Istituzioni” il compito di promuovere la ricerca della verità “completa”. Questo aggettivo riecheggia una distinzione del gergo giudiziario, quella tra verità “storica” e verità “processuale”. Che potrà anche suonare cinica, ma riflette la realtà delle cose: la verità giudiziaria non è altro che il risultato di una partita in cui si confrontano interessi diversi, ivi compresi quelli dell’organo giudicante e dello Stato che si trova alle sue spalle: esattamente come la “verità” di una partita di calcio è il risultano in termini di gol e la “verità” di una compravendita è il prezzo convenuto. Il processo è, insomma, una partita la cui posta non è la verità ma la vittoria o la sconfitta. Nella ricerca della verità “completa” le istituzioni non hanno nessun ruolo, questo spetta allo storico che può fare utilmente il suo lavoro solo dopo che gli interessi coinvolti sono usciti di scena.
Quanto ai giudici, questi sono sempre giudici della ragion di Stato, quali che siano gli orpelli terminologici e istituzionali con i quali si pretende di dar loro le sembianze sovrumane di arbitri totalmente indipendenti e disinteressati. E che siano istituzioni democratiche o autoritarie, da questo punto di vista cambia poco. Basta vedere l’uso che nella casa madre dell’Occidente democratico, gli Stati Uniti d’America, si fa delle istituzioni giudiziarie per azzoppare gli avversari e per coprire le magagne degli amici.