È un discorso di 17 minuti ma denso di riflessioni profonde che si staglia al di sopra della routine della polemica politica quotidiana. E tocca anche temi come l’Intelligenza Artificiale, tutto quello che chiama “lo snodo del terzo millennio”, quella “rivoluzione” che può fornire “opportunità” ma che deve essere “umana”. L’assillo del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che lega tutto il suo discorso dell’ultimo dell’anno è una sorta di decalogo contro la violenza, a cominciare da “quella più odiosa” verso le donne, e per la “pace”. Ognuno ci ha letto qualcosa e magari tralasciato un’altra non meno importante. La pace però – ha detto Mattarella – non è “un astratto buonismo”, “neutralità” e chi “ha scatenato la guerra” ha la primaria responsabilità. Chiaro riferimento alla Russia che ha aggredito l’Ucraina e alla “violenza terrorista” di Hamas “oltre ogni limite” contro Israele. Mattarella mette però in guardia anche dalla guerra che miete vittime tra i civili palestinesi. Ma pace non è, appunto, “astratto buonismo”.
Nel decalogo per la pace Mattarella mette il riconoscimento dell’altro da sé e lancia un monito, poco sottolineato sui media, a “non identificare nemici”, a non usare, soprattutto per i giovani, certa violenza del linguaggio, con “frasi denigratorie sulla rete”. E qui ci sarebbe materia per riflettere anche per la sinistra e media vicini, che tendono ogni volta a tirare per la giacca il Presidente della Repubblica come fosse il capo dell’opposizione.
Mattarella delude poi gli oppositori del governo di Giorgia Meloni perché non parla di premierato, di riforme istituzionali, non scende, come è suo stile, in certa narrazione che tende a metterlo come contraltare di quella riforma. Getta lo sguardo preoccupato ma senza toni apocalittici oltre, più in alto, verso la vera sfida, “lo snodo del terzo millennio”, appunto. Richiama i valori della Costituzione ma non contro qualcuno, contro qualche riforma, bensì per “l’unità di tutti”, perché l’Italia ce la faccia. Richiama all’esercizio democratico del voto, perché è quello che decide, è “libertà”, “non sondaggi e social”. Un monito contro la “rassegnazione” dell’astensione. Ma di fatto suona anche come la conferma del riconoscimento che il governo di centrodestra, trattato spesso come fosse illegittimo dalla sinistra, è frutto di un voto che ha, appunto, deciso.
Alcuni osservatori gli rimproverano, facendo un sillogismo inappropriato, di non aver difeso più fortemente Israele, oppure l’assenza nel suo discorso del cruciale tema giustizia. Un’assenza che si è fatta notare. Ma evidentemente Mattarella ha scelto nello snodo drammatico in cui si trovano il mondo e l’Italia di sottolineare di più il decalogo della pace e dell’unità, perché “uniti siamo forti”. Parole che non potevano non avere un unanime elogio. A cominciare dal premier Meloni e i suoi vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani. Oltre che quello della segretaria del Pd, Elly Schlein, del leader pentastellato Giuseppe Conte, di quelli dell’ex terzo polo, Matteo Renzi e Carlo Calenda e di tutti gli altri leader delle opposizioni. Un discorso che è apparso più di metodo del confronto, della dialettica democratica che di merito sui singoli temi.
“La guerra”, avverte il presidente della Repubblica, non può diventare la regola, riguarda la “cultura degli Stati”. Intanto, e qui siamo fuori dal discorso del Capo dello Stato, la “guerra” su tutto, anche un fatto di cronaca come il caso-pistola del parlamentare di FdI Emanuele Pozzolo, pur molto discutibile, con automatica richiesta di dimissioni del sottosegretario Andrea Delmastro, sembra ormai diventata la regola dalle parti delle opposizioni.