Gentile direttore,
il Maestro Apota Riccardo Ruggeri afferma che l’uomo politico è divenuto un influencer. Ovvero la politica ha subìto una metamorfosi, sia nel metodo e sia nella propaganda: conta sempre di meno l’execution, e sempre di più la parola, la comunicazione, il marketing, il messaggio plasmato che ben può ignorare la realtà, eludere i fatti.
L’influencer è la continuazione della politica con altri mezzi.
L’influencer ha i suoi adepti, un bacino di utenti fidelizzato, per così dire ipnotizzato da una sequenza di messaggi/comunicazioni/video, a volte diretti ed a tratti criptici.
L’influencer fonda il suo potere, il suo carisma, sugli effetti irrazionali. Se il messaggio dell’influencer può ignorare la realtà e i fatti, il fallimento dell’azione politica viene sterilizzato, occultato. Il politico-influencer, finché viene percepito ( e la percezione, secondo la stampa mainstream, prevale sul resto) come soggetto che crea l’opinione dominante, sopravvive e prospera.
Ma quando il politico perde l’aura di influencer, la sua caduta – spesso vertiginosa, rovinosa – è imminente, se non irreversibile.
L’influencer-politico alimenta sentimenti irrazionali, l’emotività del suo pubblico-claque: ovvero vuole il tifo. Ed il tifo è di per sé manicheo, settario, aggressivo: l’altro non è solo un avversario, ma il nemico, il puzzone, l’irrecuperabile, il lebbroso, il demonio, il male.
L’istinto giacobino della ghigliottina per il nemico, per il controrivoluzionario, è sempre presente. E la corte delle miti, in apparenza, tricoteuses incornicia il tifo sempre più violento, omicida (il fine giustifica qualunque mezzo).
Diceva il saggio G.C. Lichtenberg:
Regola aurea: non si devono giudicare gli uomini dalle loro opinioni, ma da ciò che queste opinioni fanno di loro.
Così è, se vi pare.
Antonio de Grazia