Oggi è arrivato Mario Monti sul Corriere della Sera a ricordarci che in questi mesi stiamo percorrendo un tornante della storia. E questa è l’unica cosa su cui concordiamo con lui. Sul resto, ci permettiamo di manifestare un aperto dissenso, argomentato punto per punto.
Cominciamo con una questione di metodo. Secondo lui stiamo affrontando il tema della difesa europea con troppe “divergenze”. Insomma, quello che è un normale e anche acceso dibattito politico su un tema peraltro divisivo per definizione come le armi, la difesa e la sicurezza, secondo Monti sono «…convulsioni della politica, [che] lungi dal favorire una maturazione nell’opinione pubblica sugli scenari nuovi e complessi della difesa europea, la agitano e la sfruttano in ciò che a molti politici interessa di più: inseguire il consenso di breve periodo». Interessante. Oggi abbiamo imparato che quando la “politica” (sarebbe meglio dire organi democraticamente eletti, altrimenti sembra che si tratti di marziani) restituisce un esito diverso rispetto a quello desiderato da Monti, allora sono «convulsioni… alla ricerca del consenso di breve periodo». Quando l’opinione pubblica non la pensa come lui, allora c’è bisogno di “maturazione”. L’ha deciso lui. Ex cathedra.
Così come ha deciso lui che siamo alle prese con «questioni dalle quali può dipendere la loro vita, la loro libertà e con esse la sopravvivenza della civiltà europea (italianità compresa)».Ingenui noi a pensare che per affrontare certi problemi avessimo già Nato e Onu. Che, ad oggi, nessuno ha detto di voler smantellare, ma si sta solo discutendo di modificare la ripartizione delle spese.
Ma il peggio arriva dopo. Monti sostiene che se l’Italia non aderisse a questa visione ansiogena, distorta – secondo cui i cosacchi potrebbero a breve abbeverarsi a piazza di Spagna e proseguire fino a Lisbona – allora l’asse franco-tedesco potrebbe preferirci la Polonia e relegarci ad un ruolo meno rilevante.
Da non crederci. Secondo Monti, «una particolare vicinanza a Washington» ci marginalizzerebbe. Solo perché dobbiamo correre ad assecondare i progetti industriali e guerrafondai di Francia e Germania, anziché continuare a rafforzare l’alleanza col nostro principale alleato militare da almeno 80 anni.
A sostegno della propria tesi («un impegno incisivo» per stare dalla parte giusta con gli alleati europei), Monti cita – con uno spettacolare autogol – proprio due delle più dannose e vergognose scelte della recente storia repubblicana.
“Lo sforzo di unità nazionale” richiesto dal governo Prodi nel 1996 per evitare l’onta di restare fuori dall’euro, quando anche la Spagna era pronta ad entrarvi. A questo proposito si sono sprecati fiumi di parole e chilometri di pagine per provare come quella scelta si sia rivelata un vero disastro per l’economia nazionale, che proprio dal 1996 abbandonò un sentiero di crescita che non ha mai più ritrovato.
Il secondo episodio è la crisi dell’euro del 2011-2012, quando «sotto la regia del presidente Napolitano» (confessio regina probationis…), l’Italia si unì (tranne la Lega, correttamente sottolinea) «per evitare di uscire dall’euro». Poi omette di aggiungere che quella scelta ci consegnò ad almeno otto anni consecutivi di recessione e stagnazione. Con la distruzione di una parte significativa della nostra produzione industriale e del sistema bancario. Ma questi per lui sono dettagli.
Visto il grande “successo” di tali scelte, ora dovremmo proseguire su quella falsariga.
Allora sembra proprio che «La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: vincere! E vinceremo! Per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo». Ricordiamo che allora non finì benissimo.
La scelta di campo di Giorgia Meloni deve essere netta. La “missione” è quella di «rafforzare la posizione dell’Italia in Europa e per ciò stesso l’Europa in un mondo in tempesta». L’alternativa è «guardare indietro». Quindi dobbiamo mettere tutto il nostro peso per affidare alla Ue compiti per i quali in trent’anni ha sempre prodotto esiti fallimentari.
Tutto questo perché Trump ha scelto di «abdicare alla posizione di indiscussa leadership delle democrazie liberali, sentendosi più vicino ai regimi autocratici e considerando un inciampo lo Stato di diritto. Così, sta abbandonando la leadership del moderno capitalismo democratico, cancellandone cardini introdotti proprio in America già a fine ‘800, come la separazione tra potere economico e potere politico, l’attenzione ai conflitti di interesse e alle norme a tutela della concorrenza. E sembra voler abbandonare anche la leadership degli sforzi rivolti ad un minimo di governance multilaterale della globalizzazione (dalla sanità, al clima, alla fiscalità sulle multinazionali)».
Non ci sembrano parole corrispondenti alla realtà. Solo perché Trump sta legittimamente perseguendo politiche esposte chiaramente in campagna elettorale e eseguite puntualmente dopo? Di quale «solco» parla Monti? Solo perché Trump ritiene che un mondo con meno squilibri commerciali, possa essere un mondo migliore? Di quale «incarnazione così diversa» parla? Solo perché sta cercando un’intesa con Putin, all’insegna di una consueta real politik, dobbiamo accusare la più grande potenza economica e la più grande democrazia del mondo, di connivenza con regimi autocratici? E dovremmo consegnarci mani e piedi all’asse franco-tedesco, che ha ritrovato nella corsa agli armamenti per risollevare il loro claudicante apparato industriale un nuovo fronte comune, facendosi beffa delle regole di bilancio e concorrenza approvate solo da pochi mesi? Sono questi gli alleati con cui dovremmo stare, secondo Monti? Esponendoci a rischi, questa volta molto seri, sia da punto di vista economico che militare, per l’aperto atteggiamento di sfida a Mosca?
No, Senatore Monti, ci dispiace. Qui non si tratta di «immiserirsi in conflitti interni non necessari né onorevoli», che invece sono benvenuti, in alternativa al pensiero dominante che già per ben due volte nella storia recente ci ha fatto scegliere la parte sbagliata.