Da qualche giorno circolano video dell’intervista di Elly Schlein, giovedì sera a Otto e mezzo, usati per raccontare il disastro mediatico della segretaria del Pd. Intendiamoci, se un’occasione di visibilità genera così tante impressioni negative, se gli avversari politici come Matteo Salvini la usano come spunto per attacchi mirati, ecco, sicuramente qualcosa è andato storto. Ma cosa e perché?
La dinamica della trasmissione e le reazioni successive sono la sintesi delle debolezze dei punti di forza di una leadership che ormai non ha più le attenuanti della novità e dell’inesperienza, dopo oltre sei mesi dalle primarie di fine febbraio.
Indicano anche che Elly Schlein è già bollita?
Una domanda preliminare: Lilli Gruber e l’ospite in studio, il direttore della Stampa, Massimo Giannini, sono stati troppo aggressivi e ostili con le domande?
Di sicuro non sono stati indulgenti, neppure quando Elly Schlein sosteneva esattamente la stessa linea del quotidiano di Giannini, per esempio nel condannare i patti con i dittatori o i trafficanti per arginare l’immigrazione (sulla Stampa ha pubblicato molti reportage Francesca Mannocchi proprio per denunciare le violazioni dei diritti umani che derivano da queste scelte).
Avrebbero lo stesso approccio anche con Giorgia Meloni, la differenza è che la presidente del Consiglio non si confronta mai con i giornalisti, men che meno in diretta televisiva in una rete, La7, che considera ostile. Preferisce mandare lettere al Corriere della Sera o audio a Rete4.
Schlein invece si espone, rischia, anche quando sa che può andare male, come giovedì sera. Gruber e Giannini incalzavano con domande alle quali Schlein non rispondeva, o almeno non come i due giornalisti si aspettavano.
Intervistatori e intervistata non parlavano lo stesso linguaggio. E questo è strano, perchè in precedenti apparizioni, anche a Otto e mezzo, Elly Schlein se l’era cavata meglio.
Domande inevitabili
Elly Schlein, anche a molti mesi dall’elezione alla segreteria, continua a esprimersi in un modo che funziona negli incontri sul territorio, ai quali ha dedicato molto del suo tempo, ma poco in televisione dove servono risposte nette, magari ironiche o sarcastiche, quasi sempre prive di contenuti vincolanti, ma nette.
Su troppe questioni Elly Schlein non riesce a produrre una sintesi coerente con il contesto nel quale è chiamata ad esprimerla, cioè la televisione. E questa è una sua colpa, non del format del talk.
Se ci vai, ne accetti le regole.
Elly Schlein si candiderà capolista per il Pd alle europee, trasformando così il voto in un test della sua popolarità personale? Era una domanda prevedibile, ma Schlein non aveva una risposta pronta (non vale dire che prima vengono le politiche e poi le scelte sulle candidature, sappiamo tutti che non è così, ma comunque una risposta chiara ci vuole).
Se la Cgil lancerà il referendum sul Jobs Act, il Pd di Elly Schlein lo appoggerà? Qui leggermente meglio, Schlein ricorda che lei nel 2015 era contraria e dice che aspetterà di capire il contenuto dei quesiti (ora: a nessuno fuori dal Pd interessa nulla, in questa fase, dell’opinione di Schlein sul punto, ma all’interno del partito è una questione di posizionamento e rapporto tra correnti dunque, di nuovo, era una domanda prevedibile senza una risposta pronta).
Spese militari al 2 per cento del Pil, come previsto dagli impegni in sede Nato? Elly Schlein sapeva che il tema sarebbe arrivato, perché era la coda di una polemica precedente innescata da dichiarazioni della stessa Schlein. Di nuovo, nessuna risposta netta, pur essendo anche questo un tema di principio, visto che è da almeno un decennio che l’Italia si è impegnata ad aumentare le spese militari senza rispettare quella quota di Pil (nel 2022, l’anno con Mario Draghi a palazzo Chigi, siamo arrivati all’1,51 per cento). Dunque, la sua risposta attendista – “ci penseremo quando saremo al governo” – era perfettamente legittima, ma inefficace nel contesto del talk dove servono posizioni più funzionali al ritmo televisivo.
Oltre l’armocromia
Inevitabile era poi la domanda sull’armocromia. Anche qui: sostanza politica zero, ma sarebbe stato strano non porre la questione, dunque ancora più strano è che Elly Schlein si sia incasinata nella risposta. Lilli Gruber le chiede per il look se usa ancora la consulente armocromista di cui aveva parlato in una intervista a Vogue, Massimo Giannini se si è pentita (non è chiaro se di averla usata o di averne parlato).
Qui Schlein fa un doppio errore, perché invece di rispondere a quella specifica polemica, ne contesta un’altra scoppiata nel frattempo sui social su una sua camicetta che sarebbe stata di Dior, con un prezzo da 2.500 euro,ma era in realtà di Marella e di euro ne costa soltanto 75 (meno degli 82 che dice di averla pagata la segretaria del Pd).
Questo è un errore, perché introduce lei stessa l’argomento e non risponde sul punto, e lo spettatore la percepisce sulla difensiva.
Un danno autoinflitto, perché in realtà Elly Schlein ha anche una risposta sulla vicenda specifica di Vogue, ed è una risposta interessante finora non emersa, o almeno non in questi termini: dice che l’armocromista famosa è un’amica alla quale si è rivolta perché, in vista del servizio su Vogue, voleva cercare un look coerente con il suo personaggio ma non imposto dai marchi partner della rivista di moda. Una scelta dunque ragionata, non una leggerezza.
In tv però la sequenza – scuse non richieste sulla camicetta e spiegazione razionale ma sulla difensiva – funziona male.
Elly Schlein avrebbe limitato i danni molto di più se avesse rilanciato all’attacco, gli spunti non mancano: Giorgia Meloni che veste solo Armani, Pier Luigi Bersani che in tv parla di operai e mucche nel corridoio, alla moglie poi regala le valigie Louis Vuitton, Matteo Renzi che fattura milioni con le consulenze all’Arabia saudita, Massimo D’Alema che compra barche e tenute vinicole e poi si offre come mediatore per commerciare armi…
Insomma, veramente è l’armocromia a segnalare il distacco dalle masse e a diventare simbolo dell’elitismo?
La sostanza
La combinazione tra domande incalzanti che richiederebbero risposte televisive e i mini-comizi di Schlein lasciano nello spettatore una sensazione di vaghezza che in realtà non è coerente con il bilancio fin qui della segretaria, superiore a tutte le attese, e neppure con la nettezza di alcune sue posizioni.
Sui migranti, per esempio, Elly Schlein contesta i patti con il regime autocratico e razzista della Tunisia come ha sempre fatto con quelli con la Libia, e da tempo la linea ufficiale del Pd è che gli accordi con la guardia costiera libica (troppo prossima ai trafficanti che dovrebbe combattere) non vanno rinnovati. Anche se a suo tempo li aveva fatti un governo a guida Pd con Paolo Gentiloni e Marco Minniti.
D’altra parte Elly Schlein ha vinto le primarie proprio perché contestava le scelte del Pd precedente, no?
Su questo zero ambiguità, anche se Gruber le contesta la formula con la quale la segretaria del Pd esprime tali concetti (“esternalizzazione” delle frontiere è un gergo molto diffuso a Bruxelles, ma troppo esoterico in un dibattito pubblico abituato ai grugniti di Salvini sul blocco navale).
Gruber e Giannini fanno poi girano a Schlein l’obiezione che tanti giornali di destra usano per contestare questa scelta di anteporre i diritti umani al cinismo dell’efficacia (presunta, perché in realtà gli accordi non fermano le partenze): dunque il Pd vuole accogliere tutti?
E qui Elly Schlein vacilla.
Non ha il coraggio di esplicitare davvero le posizioni che nasconde dietro una serie di perifrasi. E che in sintesi sembrano essere: vanno salvati tutti quelli che partono, non vanno dati soldi ai dittatori per evitare poi di farsi ricattare, e va gestita l’accoglienza come una condizione strutturale invece che emergenziale.
Questo significa accoglierli tutti? Boh, vedremo, ma sarebbe anche tempo che un segretario del Pd trovasse la forza di dire un bel “chissenefrega”. Non è che oggi qualcuno ricorda con ammirazione per il loro pragmatismo i tedeschi o gli italiani che rifiutavano di nascondere in casa gli ebrei in fuga dalle leggi razziali e dai campi di sterminio. Gli eroi che celebriamo sono gli altri, anche se hanno fatto la cosa meno conveniente nel breve periodo.
Sull’immigrazione è arrivato il momento di scegliere, o stai con i carnefici o stai con i salvatori, perfino il Leone a Venezia al film di Matteo Garrone Io capitano dimostra che la sensibilità sta cambiando. E basta parlare di richiesta di condivisione europea: era un ragionamento che poteva funzionare prima dell’arrivo dei rifugiati ucraini: con oltre 4 milioni di rifugiati dall’Ucraina nei paesi Ue, a nessuno interessa dei 127 mila migranti sbarcati sulle coste italiane nel 2023. Ce li dobbiamo gestire noi.
Su questo si capisce che Elly Schlein ha una posizione netta, ma non la esprime e si mette sulla difensiva invece che rispondere alla demagogia di destra con altrettanta nettezza.
La segretaria del Pd, poi, ha un’agenda economica e politica molto chiara: prima ha messo in difficoltà il governo sul salario minimo, e ha costretto Meloni e i suoi a smetterla di dirsi ostili (anche se stanno cercando di prendere tempo con il coinvolgimento del Cnel), c’è anche la raccolta firme che pare aver raccolto consensi massicci. Ora Schlein scenderà in piazza con la Cgil a difesa della sanità pubblica, non certo un tema da Ztl o da nicchie progressiste milanesi. La manifestazione è prevista per il 7 ottobre.
Sulla sanità Schlein non dice cose particolarmente originali, neppure si capisce bene qual è la proposta (destinare al servizio sanitario i proventi dalla lotta all’evasione fiscale può essere anche giusto, ma per definizione non è un intervento strutturale) però è una chiara scelta di agenda: Schlein non va in piazza sui diritti civili, ma su quelli sociali, anche se ripete sempre che non sono alternativi bensì complementari.
La proposta ufficiale del Pd sulla sanità – aumentare la quota di Pil in mano alle regioni per i servizi sanitari, per un equivalente di 4 miliardi – a me sembra un po’ minimalista, ma comunque non viene discussa a Otto e mezzo.
Quel che più conta, sul piano politico, è che tutte queste iniziative sono insieme o almeno non in contrapposizione al Movimento Cinque stelle, e una ricomposizione del rapporto con il partito di Giuseppe Conte è la premessa per tutto il resto, visto che con la legge elettorale attuale il paese lo governa chi forma la coalizione più grande, le percentuali dei singoli partiti sono quasi irrilevanti.
Il bilancio
La morale è che se vai nei talk show, ma così come se fai una storia Instagram o un video su TikTok, devi accettare le regole del format.
Non è obbligatorio essere sempre ovunque, Mario Draghi non è mai andato in un talk, Giorgia Meloni sceglie solo quelli di suo gradimento, alcuni non vanno mai in studio, altri chiedono l’intervista singola con il conduttore. Matteo Renzi usava Facebook e Twitter, ma su Instagram non fuziona.
La politica è anche comunicazione, che piaccia o meno. L’unico errore vero di Elly Schlein è quello di non rassegnarsi a questa consapevolezza.