Pur discreto di suo sino alla reticenza, per carattere prima ancora che per professione di magistrato alla vecchia maniera e per le funzioni che ora svolge di sottosegretario di fiducia alla presidenza del Consiglio, preposto ai servizi segreti, Alfredo Mantovano è sbottato alla fine di una lunga intervista concessa al Foglio in occasione della festa annuale del giornale fondato da Giuliano Ferrara. Ed è sbottato sul tema che forse sembrava più adatto alla sua discrezione o, ripeto, reticenza: quello dei rapporti fra il governo e la magistratura, o viceversa. Un tema clamorosamente sollevato nei mesi scorsi dal ministro della Difesa Guido Crosetto, che denunciò una “opposizione giudiziaria“, oltre che politica e mediatica, alla compagine ministeriale guidata da Giorgia Meloni. La quale con una nota diffusa da Palazzo Chigi rilanciò l’allarme fra le proteste dell’associazione nazionale delle toghe.
Ridotta in qualche modo a “impressione” con una certa prudenza dal direttore del Foglio Claudio Cerasa parlando di “magistratura ideologizzata”, Mantovano ha detto testualmente, e spiegato facendo un esempio: “Non è tanto un’impressione, è una constatazione. Quando, per esempio, nella disciplina dei migranti un giudice dice e scrive nei provvedimenti che deve essere il giudice stesso l’arbitro della decisione dei paesi cosiddetti sicuri, cioè dei paesi verso i quali può avvenire il rimpatrio dei migranti pervenuti illegalmente, mi pare che sia un’entrata a piedi uniti in un’area che non è la propria, perché la determinazione dei paesi sicuri viene fuori da un procedimento abbastanza complesso che spetta al governo”. “E’ un esempio fra i tanti. Ce ne potrebbero essere altri”, ha concluso e insistito il sottosegretario.
E’ politicamente significativo, e grave sul piano giudiziario, che fra i “tanti” esempi, ripeto, a sua disposizione Mantovano ne abbia scelto uno che chiama in causa non solo e non tanto un pubblico ministero, sorpreso e condannato di recente ad occultare prove a favore di un indagato, ma un giudice. Da cui sarebbe ragionevole aspettarsi una condotta “imparziale”, da “giudice terzo”, come dice l’articolo 111 della Costituzione modificato proprio in questo senso 25 anni fa. Che sono purtroppo trascorsi inutilmente, in attesa peraltro che la nuova norma costituzionale si traduca coerentemente nella separazione delle carriere dei pubblici ministeri e dei giudici, appunto. Una prospettiva contro la quale il sindacato dei magistrati e le sue non poche appendici politiche hanno annunciato e conducono un’opposizione dichiaratamente irriducibile.