Brucia l’origine, ma anche l’originalità. Il nuovo romanzo di Daniele Mencarelli, l’autore di “Tutto chiede salvezza” da cui è stata tratta anche una fortunata serie tv per Netflix, non convince. L’autore romano che ha saputo conquistarci nei suoi libri precedenti con il racconto della marginalità e della fragilità – anche per alcune esperienze personali – questa volta affronta il tema dello spaesamento dopo un cambio di città, da Roma a Milano, con un cambio di pelle rimasto a metà. Una muta di serpente non completata che comporta una crisi di identità nel protagonista. Ma le pagine scorrono con molti stereotipi e anche alcuni errori di ambientazione.
Vediamo nel dettaglio. Il romanzo “Brucia l’origine” (Mondadori) ruota intorno alla figura di Gabriele Bilancini, talentuoso designer sbocciato nella periferia romana del Tuscolano, ma traslocato a Milano, la città che ha dato i natali a mostri sacri come Achille Castiglioni, Alessandro Mendini, Gio Ponti, Joe Colombo e accolto altri come Gae Aulenti, Ettore Sottsass, Michele De Lucchi, Piero Lissoni e tanti altri. Il talento di Gabriele germoglia grazie al rapporto che instaura con un affermato professionista milanese, che, facendogli da mentore, lo introduce negli ambienti esclusivi del mondo affettato ed esclusivo di chi ridisegna il mondo con gusto e personalità.
Ma è proprio la descrizione un po’ pigra degli ambienti a deludere. Milano è ricca, opulenta, ma falsa, a confronto con Roma, dove ritorna per un breve soggiorno, dove ritrova invece l’autenticità nella cafoneria, il valore dei sentimenti nel margine del disagio delle vite degli amici che stentano a trovare un avvenire professionale. Milano fredda, Roma calda. Una descrizione un po’ scontata, così come non appare convincente quella distanza siderale con cui separa le due città. In tempi segnati dall’accessibilità per i voli low cost e l’alta velocità ferroviaria, Mencarelli descrive personaggi romani o milanesi che non conoscono l’altra città, come se parlassimo di una frontiera tra Stoccolma e Tirana.
La descrizione del milieu romano sembra poi fuori tempo. Gli amici di Gabriele, dai 35 ai 40 anni, sono nostalgici che ricordano i tempi belli di quando l’adolescenza era selvatica e randagia. Ma è una descrizione che richiama più gli ambienti di chi è nato nei Settanta (come lo stesso Mencarelli, classe 1974), quando la strada ancora educava i figli di una Roma generosa e spietata. La bugia della sorella del protagonista, a mascherare un fallimento, appare poco credibile nella descrizione di un ambiente quasi da paese, dove tutti sanno tutto e i rapporti nel quartiere sono ancora autentici e intimi, al contrario della dispersiva Milano. Anche i genitori di Gabriele sono descritti come persone un po’ fuori tempo, che non hanno più nulla da chiedere, non conoscono i social (dove si diffonde una vile e falsa indiscrezione sul motivo del successo del figlio) quando quella è la generazione che oggi è più presente su Facebook.
Cosa salviamo del libro di Mencarelli? Il legame con gli acquedotti romani, che caratterizza l’alternarsi dei capitoli, e il richiamo a figure di imponenti elefanti in marcia.