L’annuncio della scorsa settimana da parte del Foreign Secretary britannico, Dominic Raab, relativo al dimezzamento del fondo per gli aiuti in Yemen non è passato inosservato.
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, lo ha definito una “sentenza di morte” per gli yemeniti, e 100 charities internazionali hanno criticato l’azione del governo Tory.
Dal canto suo, Raab ha ribadito che anche con il taglio – che porta da 164 milioni di sterline a 87 i fondi umanitari per il paese posto all’estremità meridionale della penisola araba – lo UK resta pur sempre “tra il terzo e il quinto posto tra le nazioni che forniscono aiuti concreti a Sana’a”.
La diplomazia britannica e molti politici che in passato hanno ricoperto ruoli apicali al Foreign Office hanno espresso la loro preoccupazione. A maggior ragione considerando che un documento esclusivo pubblicato dal think tank Open Democracy, ha messo in luce come il governo Johnson abbia in mente di tagliare del 67% gli aiuti per la Siria, dell’88% quelli per il Libano, del 58% quelli per la Nigeria, del 60% quelli per la Somalia e della stessa cifra quelli per la Repubblica Democratica del Congo.
Tutto ciò si tradurrebbe in una peggiore condizione per le popolazioni colpite – in Yemen l’80% della popolazione richiede assistenza umanitaria – e in una perdita di prestigio per Londra, che ha fatto della cooperazione internazionale un punto focale della sua estroflessione.
La decisione del governo Tory però rimonta allo scorso novembre, quando Johnson annunciò davanti alla Camera dei Comuni la decisione di portare temporaneamente dallo 0,7 allo 0,5% la cifra destinata al foreign aid, con un taglio di circa 4 miliardi di sterline in termini concreti. Una percentuale che era stata confermata anche negli anni dell’austerity da parte del governo Cameron. E proprio l’ex Primo Ministro è tornato sulla vicenda. Già lo scorso autunno aveva criticato la mossa di Johnson. Ora l’ha definita “politicamente e moralmente sbagliata” enfatizzando il “soft power” di cui beneficia Londra attraverso l’assistenza umanitaria.
In realtà, non è solo Johnson a volere tirare il freno a mano sugli aiuti. Rishi Sunak, il Cancelliere dello Scacchiere che ha di recente presentato una legge di bilancio che deve fare i conti con uno storico aumento della spesa pubblica, avrebbe detto chiaro e tondo che “il foreign aid non è una priorità del governo in questa fase”.
Ci sono anche ragioni molto più pratiche e meno strategiche dietro questo gesto. In un recente sondaggio di YouGov i cittadini britannici hanno definito gli aiuti per i paesi in via di sviluppo “non necessari”: il 56% degli intervistati crede che il Tesoro spenda troppo per mantenere i paesi esteri. Tra tutti però, proprio nella capitale, Londra, ci sono gli inglesi che più tengono agli sforzi umanitari del proprio paese. Ma non solo. Anche nell’Inghilterra del nord e delle Midlands il sostegno al foreign aid sembra molto elevato nei seggi di quel Red Wall che Johnson ha conquistato alle elezioni del 2019. Peraltro, nel programma del partito i Tories si erano impegnati a mantenere lo 0,7% come fatto in precedenza da Cameron e da Theresa May.
Nella scorsa estate Johnson aveva accorpato il Ministero dello Sviluppo Internazionale al Foreign Office, abolendo di fatto l’indipendenza del dipartimento e mettendolo sotto il cappello di uno dei grandi uffici dello Stato. Una riorganizzazione del Ministero degli Esteri aveva determinato anche un cambio alla sua guida, con il pensionamento dello storico Permanent Secretary, Sir Simon McDonald. Le critiche a Johnson non sono venute solo dal rivale storico, David Cameron, ma anche dal rivale alla leadership del partito nell’estate 2019, Jeremy Hunt. L’attuale Presidente della Commissione Salute della Camera dei Comuni si è così espresso: “Un annuncio profondamente deludente”.
Di quale Global Britain si può parlare se uno dei cardini della politica estera britannica viene azzoppato? La risposta, istituzionale e concisa, sta in un comunicato stampa del neonato Ministero degli Esteri e dello Sviluppo: “Il Regno Unito rimane fermo nel suo supporto agli yemeniti come uno dei maggiori distributori di aiuti umanitari nel paese. La nostra diplomazia lavorerà sempre per portare la pace nello Yemen”.