Si va dall’accusa di aver “svenduto” l’Italia agli Usa, accuse mai fatte ai tempi pentastellati della “Via della Seta” con un regime dittatoriale come la Cina, alla minaccia che ora gli italiani “la pagheranno cara” per quanto riguarda bollette e sanità. Più i fatti evidenziano il successo diplomatico del premier Giorgia Meloni nella missione a Washington più si radicalizzano i toni delle opposizioni dove, come in una gara a chi fa il più duro, il Pd di Elly Schlein e Iv di Matteo Renzi sembrano inseguire i Cinque Stelle e il loro presidente Giuseppe Conte, che guida il coro di accuse, proponendosi di fatto come il leader del cosiddetto “campo largo”. Fatto però da una sinistra sempre più estrema, con poche chance da fronte alternativo.
Gli attacchi suonano un po’ lunari e pregiudiziali al punto che dopo Carlo Calenda, leader di Azione, se ne dissocia un altro esponente dell’area di centro, eletto come indipendente al Senato nel Pd, un esponente storico del calibro di Pier Ferdinando Casini. E mentre Renzi per tutta la giornata di ieri ha preferito il silenzio ai soliti attacchi al premier, definita in modo poco istituzionale “influencer”, mandando avanti altri esponenti di Iv, c’è da registrare anche un imbarazzato e assordante silenzio da parte dei cosiddetti riformisti del Pd. Mentre Casini, in un’intervista a “Il Foglio”, ripresa da “Libero Quotidiano”, riconosce il successo di Meloni e il fatto che il suo “accreditarsi come ponte tra Ue e Usa è un bene per il nostro Paese”.
Quello di Casini, che punge Schlein accusandola di “far finta di non capire su Meloni”, suona come un invito oggettivo alla sinistra a usare toni diversi quando si parla di politica estera su questioni così dirimenti.
Intanto, dopo l’incontro alla Casa Bianca con il presidente statunitense Donald Trump, e quello a palazzo Chigi con il vice J.D. Vance, Meloni è al lavoro per organizzare quanto prima un vertice a Roma, con l’obiettivo di fissare già nel mese di maggio la data per l’incontro tra Trump e i leader europei. L’ incontro “potrebbe tenersi a maggio, anche prima” del summit della Nato previsto a l’Aja dal 24 al 26 giugno. E non sarà invitata solo la presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen, ma “dovrebbe essere allargato anche agli altri leader degli Stati Ue”, dalla Francia alla Spagna. Lo conferma, in alcune interviste, Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. I dazi e la guerra in Ucraina saranno i principali temi sul tavolo, con l’obiettivo, evidenzia Fazzolari, di “evitare la frattura dell’Occidente”.
E anche secondo l’ex commissario alla Spending review, l’economista Carlo Cottarelli, “ci sono motivi oggettivi per pensare che Stati Uniti e Unione Europea alla fine troveranno un accordo” sui dazi. Anche se “il viaggio di Giorgia Meloni a Washington non ha portato, come previsto, a risultati immediati, è stato utile nel riavvicinare le due sponde dell’Atlantico”, riconosce Cottarelli.
Alle accuse di Riccardo Ricciardi, capogruppo alla Camera dei Cinque Stelle, di Angelo Bonelli di Avs di aver “svenduto” l’Italia e a quelle di Antonio Misiani del Pd secondo cui l’Italia ” pagherà caro l’impegno a maggiori acquisti di gas liquido e di armi”, replica ironico il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri che esprime “umana comprensione per gli esponenti delle varie sinistre sconcertati e storditi dal successo della politica internazionale del governo di centrodestra”. Intanto, Antonio Tajani ribadisce il ruolo di “ponte” assunto da Meloni tra Ue e Usa: “L’Italia è il principale interlocutore degli Stati Uniti in Europa”.
Plauso su tutta la linea anche da parte dell’altro vicepremier, Matteo Salvini, che posta su X la sua soddisfazione per il fatto che la Russia abbia annunciato due giorni senza armi. Cosa che viene letta come un risultato di Trump dopo aver sferzato Russia e Ucraina. “È ora di lavorare tutti per la pace”, scrive Salvini. Sballate alla prova dei fatti anche certe fosche previsioni mediatiche di tensioni nel governo a causa delle diverse sensibilità di una coalizione che ha votato in parlamento sempre compatta.