La nomina di Lina Khan a presidente della Federal Trade Commission, l’agenzia che si occupa di concorrenza e di protezione dei consumatori, da parte dell’amministrazione Biden ha avuto una rilevante eco mediatica. La nomina viene infatti interpretata come una svolta nella politica della concorrenza, sfavorevole alle Big Tech.
Lina Khan è nota soprattutto per un suo saggio pubblicato nel 2017, quando era ancora studente della Yale Law School, Amazon’s Antitrust Paradox, la cui argomentazione principale è che l’attuale politica della concorrenza americana si basa su principi che non consentono di valutare correttamente i pericoli che la dominanza di Amazon crea e di porvi rimedio. Secondo Khan, Amazon è riuscita a diventare monopolista nel rispetto formale delle regole antitrust, proprio perché tali regole non sono adatte a regolare un’economia basata sulle piattaforme digitali. Un approccio della politica della concorrenza basato sul benessere dei consumatori, misurato con gli effetti di breve periodo su prezzi e quantità, è strutturalmente inadatto, secondo Khan, a cogliere la complessità delle economie digitali e rende ciechi di fronte ai pericoli rappresentati dalle Big Tech.
IL PARADOSSO DELL’ANTITRUST
Per inquadrare meglio il problema e le possibili soluzioni occorre fare un passo indietro. Fino agli anni Ottanta, la disciplina dell’economia industriale, cioè lo studio dei mercati, si basava sul paradigma struttura-condotta-performance. Secondo questo approccio, la struttura del mercato, cioè variabili come il numero di imprese operanti nel mercato o la rilevanza delle barriere all’entrata, determina la condotta (ad esempio il prezzo o la quantità prodotta) che, a sua volta, determina la performance (profitti delle imprese, benessere dei consumatori). In mercati molto concentrati, le imprese che vi operano possono colludere facilmente, bloccare l’entrata di nuove imprese e tenere i prezzi alti e la qualità bassa, a scapito dei consumatori. Ad esempio, questo fa considerare con sospetto le fusioni tra imprese, poiché portano a maggiore concentrazione.
Negli anni Ottanta la congiunzione tra due fattori, gli sviluppi teorici in economia industriale e l’attitudine pro-mercato dell’amministrazione Reagan, ha determinato una radicale revisione delle politiche della concorrenza. Dal punto di vista teorico, l’approccio struttura-condotta-performance presenta un serio problema. La struttura del mercato non può essere presa come esogena: se un’impresa diventa molto più efficiente delle altre, può abbassare i prezzi, guadagnando quote di mercato. Ciò porta a una maggiore concentrazione, ma solo grazie a una maggiore efficienza dell’impresa ed è accompagnata da prezzi più bassi per i consumatori. Nel suo libro The Antitrust Paradox (al cui titolo si richiama ovviamente l’articolo di Lina Khan) il giudice Robert Bork afferma che il benessere dei consumatori deve essere al centro della politica della concorrenza. Le linee guida sulle fusioni del 1982 riflettono proprio tale principio: per proibire una fusione, occorre mostrare che va a svantaggio dei consumatori, ad esempio portando a prezzi più alti o a limitazioni della quantità venduta. Lo stesso principio viene applicato alle politiche predatorie, cioè ribassi dei prezzi mirati a far uscire dal mercato un rivale, o alle fusioni verticali.
Secondo Khan tale approccio ha diversi problemi ed è particolarmente inadeguato oggi. Quali sono i problemi? Il primo è che proteggere i consumatori richiede di guardare non solo ai prezzi, ma anche alla qualità e alla varietà dei prodotti offerti e all’innovazione. Amazon è al contempo una piattaforma di marketing, una rete logistica e di consegne, un fornitore di servizi di pagamento, una piattaforma per aste, un editore, un produttore di film e serie televisive, e così via. I rivali di Amazon sono spesso, nello stesso tempo, suoi clienti. Amazon guadagna anche quando compete e può sempre favorire i suoi prodotti rispetto a quelli dei concorrenti. Può far sperimentare nuovi prodotti ai concorrenti e entrare nel mercato solo se c’è domanda sufficiente. Questi problemi non sono affrontabili, secondo Khan, con l’ottica tradizionale della politica antitrust.
Il secondo problema è più radicale: la concentrazione dei mercati può causare problemi sistemici, come l’instabilità delle economie (basti pensare al problema delle banche “too big to fail”) o come una riduzione della diversità dei media. In altre parole, ci sono anche variabili sociali che vengono influenzate negativamente dalla presenza di giganti digitali. Per queste ragioni, Khan vuole rivalutare l’approccio strutturalista: la concentrazione conta di per sé. La politica antitrust non può guardare solo ai prezzi, ma deve anche considerare fattori come le barriere all’entrata, i conflitti di interesse, la presenza di colli di bottiglia, il controllo dei dati.
Come si vede, la nomina di Lina Khan alla Ftc potrebbe veramente portare a un diverso atteggiamento verso i mercati e verso la politica della concorrenza.