Tutte le strade portano a Chisinau. Almeno per un giorno. I destini del paese più povero d’Europa si giocano sull’azzardo della presidente Maia Sandu di associare nella stessa tornata elettorale il voto presidenziale e quello referendario per ancorare alla costituzione il processo di integrazione nell’Ue. Sembrava una mossa da scacco matto: la politica più popolare del paese, praticamente certa di ottenere il primo secondo mandato presidenziale consecutivo nella storia moldava, avrebbe così legato costituzionalmente il futuro europeo della sua giovane repubblica, sbarrando forse per sempre la strada a ogni tipo di ingerenza russa. I sondaggi sembravano darle ragione. Le urne hanno intorpidito tanto ottimismo.
Il risultato del referendum è in bilico. Con il 97 per cento dei voti scrutinati, la commissione elettorale ha reso noto che le due controparti sono appaiate. Cinquanta e cinquanta. Ancora più in dettaglio, 730.100 voti per il sì (50,03%), 730.021 per il no (49,97%), secondo l’ultimo dato non ufficiale presentato. Ma di scheda in scheda l’equilibrio cambia.
Fino a tarda notte, l’esito sembrava definito a favore dei contrari, che avevano raccolto il 57% dei suffragi. Poi sono arrivate le schede della diaspora, dei tanti moldavi che vivono all’estero, soprattutto in Europa, e la bilancia è tornata a riequilibrarsi fino a un drammatico testa a testa.
Sebbene il risultato definitivo non sia ancora stato né reso noto, figuriamoci se ufficializzato, ed è da attendersi ricorsi e controricorsi da parte dei futuri sconfitti, già solo il fatto che i sì non abbiano vinto a mani basse è una doccia fredda. Per Sandu e per Bruxelles.
Per di più la presidente dovrà giocarsi davvero tutto nel ballottaggio del 3 novembre. Al primo turno Sandu è avanti a tutti gli altri dieci candidati, ma ha mancato la maggioranza assoluta. Questo era un risultato previsto anche dai sondaggi. Si è dovuta fermare al 41,8%, un risultato inferiore alle attese e dovrà ora vedersela non solo con il suo più immediato inseguitore, l’ex magistrato anticorruzione Alexandru Stoianoglo, candidato del partito socialista dell’ex presidente filorusso Igor Dodon, ma anche con la coalizione dei movimenti filo-putiniani che lo appoggerà nel tentativo di far saltare il tavolo a Chisinau. Stoianoglo parte dal 26,3%. Ora tutti gli osservatori politici suggeriscono che la missione di Sandu al secondo turno sarà dura.
Per ora volano le accuse. Nella notte più difficile della sua finora brillante carriera politica, Sandu si è presentata di fronte alle telecamere e ha lanciato accuse di manipolazione. In quel momento il destino del referendum pro-Ue appariva segnato. “La Moldova è di fronte, oggi e negli ultimi mesi, a un attacco senza precedenti alla sua libertà e alla sua democrazia”, ha detto la presidente, “gruppi criminali che lavorano con forze straniere stanno cercando di minare il processo democratico”. Sono stati spesi “milioni di euro” per creare “incertezza e instabilità” con bugie e propaganda, ha aggiunto Sandu, denunciando l’esistenza di prove sull’acquisto di circa 300.000 voti referendari, naturalmente a favore del no.
Le accuse di corruzione hanno segnato gran parte della campagna elettorale e voci di denaro arrivato da Mosca per finanziare gli attivisti anti-Ue e comprare letteralmente il voto degli elettori delle campagne si sono inseguite per settimane. Si è parlato di 15 milioni di euro in fondi russi smobilitati da Mosca e di infiltrazioni dei servizi segreti per sobillare rivolte dopo il voto. Il proselitismo antieuropeo diffuso dalle televisioni e dai portali online in lingua russa ha martellato contro le politiche di Maia Sandu. Che Mosca abbia potuto dispiegare tutta la sua macchina propagandistica per influenzare gli elettori è fatto accertato e neppure sorprendente. Alla vigilia del voto la polizia aveva sequestrato tonnellate di materiale propagandistico, che avrebbe dovuto contribuire a creare un’atmosfera ostile all’adesione all’Unione europea.
Mosca ha interesse a far deragliare il convoglio moldavo in viaggio verso l’adesione all’Ue e vorrebbe riportare la sua ex repubblica sovietica all’interno dell’orbita russa. Qua e là durante la campagna elettorale si sono ritrovate anche le tracce di Ilan Shor, oligarca fedele a Mosca, fuggito all’estero e accusato di riciclaggio di denaro e frode in patria. È considerato tutt’oggi un personaggio influente nella politica moldava, è stato condannato a 15 anni di carcere in sua contumacia ed è ricercato. Secondo i media statali russi, Shor si è rifatto vivo nella notte elettorale accusando la sua rivale Sandu di aver fallito: la Moldavia non ha bisogno dell’Ue, è stato il suo messaggio. La Russia, d’altronde, accusa da parte sua l’Unione europea di aver influenzato il voto promettendo miliardi. Nel corso del processo di avvicinamento di Chisinau all’Ue, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha infatti promesso 1,8 miliardi di euro di finanziamenti in un incontro con Sandu poco prima del voto. L’iniezione finanziaria è intesa principalmente a stimolare la crescita, creare posti di lavoro e migliorare i servizi e le infrastrutture, soprattutto quelle energetiche per sopperire al progressivo venir meno delle forniture energetiche dalla Russia.
I problemi che affliggono la Moldova sono enormi: dal nodo insoluto della Transnistria, la repubblica separatista filo-russa autoproclamatasi tale dopo la guerra lampo all’inizio degli Anni 90, alla corruzione diffusa trasversalmente tra oligarchi e apparato amministrativo, fino all’esplosione dei prezzi energetici conseguenza della guerra russo-ucraina.
Per Brigitta Triebel, direttrice a Chisinau della tedesca Adenauer Stiftung, la fondazione politica della Cdu, a prescindere da come andrà a finire il referendum, il suo esito proietterà ombre sulla corsa nel ballottaggio di Maia Sandu. “Il suo prestigio è rimasto intatto, come dimostra l’oltre 40% dei voti ottenuti”, dice in collegamento dalla capitale moldava, “ma aver collegato la sua rielezione al referendum per l’Ue non ha pagato”. Probabilmente è stato un errore porre un quesito così secco in questa fase, forse è stato troppo presto, spiega l’esperta: i moldavi restano in maggioranza favorevoli a un avvicinamento all’Ue, ma quando gli si chiedere di scegliere un campo in maniera secca, est o ovest, che era poi la domanda sottintesa dal referendum, le posizioni si appannano, e in una larga fascia della popolazione ci si chiede ancora se non sia più opportuno per un piccolo paese mantenere una posizione di buoni rapporti con tutte le parti. Una posizione molto più diffusa di quanto si pensi in tanti paesi dell’ex blocco est-europeo.
Ora la presidente si trova nella condizione di dover pescare consensi nel campo pro-russo, “dal momento che tutti gli elettori favorevoli all’adesione all’Ue hanno già votato per lei”. Sandu ha di fronte due settimane molto difficili e ha bisogno di un nuovo programma, o almeno di un programma adattato a nuovi obiettivi per poter convincere la parte di elettorato che non l’ha votata. In più, aggiunge Triebel, i movimenti pro-russi sono adesso in qualche modo ringalluzziti, “hanno visto che i metodi di disinformazione messi in campo possono avere successo e moltiplicheranno le loro forze per destabilizzare la situazione”. Che è poi l’obiettivo primario del Cremlino.