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Orazio Schillaci, le immagini e publish or perish

Considerazioni a margine dell’inchiesta giornalistica che riguarda il ministro della Salute, Orazio Schillaci. Il commento di Battista Falconi.

Nel caso di Orazio Schillaci, colpisce più la difesa che l’accusa. Quest’ultima, infatti, farebbe emergere un copione spesso rappresentato nella ricerca scientifica: quello in cui le immagini di un lavoro scientifico sono adattate in qualche modo alla sostanza. Un illecito, certo, un’irregolarità che ha però lo scopo, talvolta per ammissione degli stessi autori, di far corrispondere meglio l’iconografia di un articolo a una ricerca condotta seriamente. Altre volte si tratta invece di vere e proprie truffe, di pubblicazioni in cui sia le figure sia la sostanza esposta non sono corrette, i risultati sono inventati o addirittura lo sono le intere ricerche, mai svolte.

COSA HA DETTO CRISANTI

Nel caso specifico, sarebbero state duplicate alcune figure, mostrate con diversi livelli di ingrandimento, un escamotage per confondere chi deve valutare lo studio, secondo i maligni. In otto articoli, per validare i risultati, sarebbero state utilizzate immagini non pertinenti. Il collega Crisanti, incidentalmente esponente del Pd, dice che la cosa è grave, “tragga le conclusioni”. E aggiunge: “secondo me è bene portare avanti una sola attività per volta”. Infine, sostiene che “chi firma un lavoro è responsabile sempre anche degli altri”. La prima frase si riferisce al rettore di Stanford, che si è dimesso per un caso analogo. La seconda all’attuale ruolo al governo dell’ex rettore di Tor Vergata: ora nei boatos circola il nome di Vaia, il dg della Sanità in questi giorni mediaticamente attivissimo, mentre si prepara un’interrogazione alla premier Meloni. La terza frase risponde alla difesa di Schillaci: “Le immagini? Non sono mie, mi sono fidato, non sono un esperto di microscopia”.

SCHILLACI TIRA IN BALLO I COLLEGHI

Il ministro insomma tira in ballo i colleghi: “Ma non hanno fatto nulla di male”. Ha derubricato a peccato veniale la questione, facendo capire non aveva controllato, pur avendo fatto da garante e quindi essendo stato coinvolto in modo consapevole. Qui si entra per l’appunto nella gravità della difesa: la frequenza di episodi analoghi è in effetti alta e ha investito anche istituzioni e ricercatori autorevoli, come il rettore che si è dimesso e che adesso viene citato quale precedente al quale si dovrebbe fare riferimento. Ci sono stati casi sia italiani che stranieri e questa zona grigia della produzione scientifica rientra nello slogan “public or perish”, pubblica o muori, cerca di accumulare più firme e più citazioni possibili perché tutto il sistema delle carriere internazionali nella ricerca si basa su questi punteggi.

L’EFFETTO DI MATTEO

Cosa accade quindi? Quello che non sociologia si chiama “effetto di Matteo”: si guadagna notorietà e gli autori più giovani o meno affermati chiedono ai vip di collaborare, in modo da aumentare il prestigio dei loro lavori anche se di ciò di cui si devono pubblicare non sanno quasi nulla e talvolta nulla in assoluto. Un circolo assolutamente vizioso che porta chi è già famoso a diventarlo sempre più, un abuso dove l’illegittimità è molto sfumata rispetto alle bufale vere e proprie, che hanno peraltro coinvolto in passato anche le riviste più famose del mondo. Addirittura, ci sono stati ricercatori che hanno sfiorato il Nobel e poi si è scoperto essere degli autentici impostori. Truffe, è indicativo, in genere svelate da ricercatori più giovani o addirittura da persone del tutto esterne, giacché il sistema accademico e baronale molto difficilmente si autoriforma e si autodenuncia, anche quando i sospetti sono diffusi.

L’episodio odierno è insomma istruttivo perché illumina una parte oscura del mondo scientifico che al pubblico sfugge. A dire la verità, al pubblico sfugge in assoluto tutto il sistema, si interpretano spesso come esperti autorevoli persone che non lo sono affatto e sono soltanto famose. E anche se ci si affida alle classifiche ufficiali, come si dovrebbe, queste sono fortemente condizionate da sistemi di cooptazione e di lobby.

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