Michela Murgia non è stata che l’ultima rappresentante di una lunga schiera di intellettuali e artisti che la sinistra ha periodicamente eletto a propri portavoce e leader, in parallelo con la propria conclamata e cronica incapacità di identificare delle figure politiche capaci di assolvere questi ruoli. La scrittrice sarda ha dato a questa funzione forza e corpo, in senso anche letterale, sublimandola nel momento in cui ha rilasciato la celebre intervista: un coming out nel quale rivelava le proprie gravi condizioni di salute, dicendosi dispiaciuta di morire sotto un governo “fascista”. Un’espressione tanto forte che lo stesso giornalista Aldo Cazzullo prese le distanze. Giorgia Meloni peraltro, ricordiamo tutti, seppe rispondere a questa feroce accusa con un colpo retorico tra i migliori che abbia giocato nel proprio mandato in ambito extra politico, auspicando che Murgia potesse guarire e vedere la fine dell’attuale governo, sì, ma tra molti anni.
La schiera degli intellettuali e dei personaggi pubblici progressisti engagé è molto affollata. Ce ne siamo accorti nel momento in cui si è messo mano al rinnovo dei vertici del Centro Sperimentale di Cinematografia: praticamente tutti i principali attori e registi italiani si sono levati contro quella che hanno detto di considerare un’occupazione, da parte della destra, di quello che quindi intendono come un fortino esclusivo, appaltato in modo permanente alla sinistra. Peraltro, gli stessi identici ragionamenti erano stati espressi con la Rai, con le polemiche assolutamente pretestuose relative alle uscite di Fazio e Littizzetto, che già avevano preventivato di cambiare editore. Per non parlare poi di Roberto Saviano, particolare figura di scrittore-martire per il suo impegno antimafia e schierato in modo assolutamente militante.
Al di là dei nomi, questo intruppamento dei più noti tra scrittori uomini di spettacolo e pensatori deriva da due processi paralleli e concomitanti. Uno è la famosa egemonia gramsciana, cioè la presunzione, assunta a sinistra sin da prima della fine della guerra mondiale, che portare queste figure a capo della rivoluzione proletaria avrebbe aiutato le masse a prendere consapevolezza della lotta di classe. Un paradigma ancora oggi molto considerato, nonostante il suo fallimento storico ampiamente dimostrato. Dall’altro lato, sulla “rive droite”, moderati e conservatori hanno sempre sottovalutato il ruolo di settori come cultura, arte e spettacolo, ancorché ne abbiano detenuto a lungo il controllo politico: nel cinema e nella televisione dei primi vent’anni la presenza democristiana fu molto forte, ma non si seppe tradurre in un’incisività popolare pari a quella che ebbero il Partito Comunista e la sinistra in genere.
Tale quadro non è soltanto nazionale. Anche negli Usa l’incidenza politicamente corretta di Hollywood e dello show biz è prevalente, icone dichiaratamente repubblicane come Clint Eastwood sono eccezioni; in Francia la situazione è più sfumata e grandissime star come Alain Delon, Brigitte Bardot, Gerard Depardieu, posizionate in senso conservatore o reazionario, hanno scalfito il predominio “gauche”. Questo schema ha generato il pregiudizio della sostanziale ignoranza della destra e del suo popolo, dell’indifferenza delle persone che votano in questo senso ai temi della bellezza e della riflessione articolata, la loro preferenza per ragionamenti secchi e semplicistici. Un pregiudizio quasi razzistico, per l’appunto, che però fonda su una parte di verità: i dati del mercato culturale conservatore, tradizionalista, moderato sono davvero modesti, si vedano per esempio le vendite della carta stampata degli ultimi decenni. Anzi, la destra sarebbe livorosa contro i pensatori proprio perché, in quanto tali, sono inevitabilmente di sinistra: vedi l’“editto bulgaro” di Berlusconi.
Dunque, il pregiudizio è fondato? Le persone di destra sono meno colte e sensibili? La realtà è molto più complessa. Se si vanno a vedere i grandissimi autori, quelli che davvero hanno inciso nella storia soprattutto del Novecento, si vedrà che quasi tutti esprimono concetti che potremmo definire di destra o conservatori, al di là della loro posizione politica, basterebbe fare il nome di Pasolini. E poi si contano eccezioni rilevantissime in termini di pubblico, quali il settimanale Candido e i libri e film anticomunisti di Giovannino Guareschi.
È però anche vero che nella massa dell’elettorato conservatore e moderato spesso si annidano gusti estremamente “bassi”. I film dei Vanzina, per dirne una. Oppure lo spettacolo estremamente leggero, decisamente superficiale, proposto da Mediaset e che ha poi condizionato purtroppo anche la Rai. La comicità del Bagaglino, per capirci, è stata spesso di imbarazzante banalità. Ma un’analisi altrettanto in chiaroscuro andrebbe allora condotta con la cultura di sinistra, che ha espresso grandi autori (lo fa ancora oggi, da Paolo Giordano a Paolo Cognetti), talvolta dei capolavori, ma che ha anche contrabbandato come tali alcune produzioni di qualità inesistente. Si pensi ad autori come Ciprì e Maresco, che hanno basato gran parte della loro filmografia su flatulenze e volgarità similari. Addirittura, siamo arrivati alla rivalutazione progressista di prodotti di consumo come le figurine Panini e i film di Alvaro Vitali, come se a contare non fosse il merito ma l’appartenenza.
Resta infine da dire che una parte della destra, quella più propriamente definita tale, che ha lungamente legato le proprie sorti all’MSI, è stata davvero esclusa dalla possibilità di accedere alle prime file di cinema, televisione ed editoria. Ed ecco quindi che gli intellettuali relativamente più noti di quest’area talvolta faticano ad avere una visibilità e una popolarità pari a quanto meriterebbero. E magari, se la ottengono, sottoposti all’immediato fuoco di fila avversario, pagano la loro inesperienza con gaffe e ingenuità. Ragionamento che ovviamente va adattato a ciascun singolo caso, stiamo esprimendo valutazioni sommarie. Oggi però continuare a parlare di emarginazione e discriminazione francamente suona un po’ ridicolo, visto che al governo ci sono molti rappresentanti di questo stesso mondo politico culturale.