Anche per gli europeisti più scettici, che in Italia abbondano, è difficile negare quanto il Vecchio Continente sia diventato, nel tempo, sempre più a noi familiare. Anni fa neppure i politici avrebbero saputo come si chiamavano i vertici della nostra Ue. Oggi, al contrario, complici la tv e le reti sociali, molti cittadini riconoscono all’istante Ursula von der Leyen (spesso evocata, con simpatica goliardia, col solo e inusuale nome di “Ursula”) o Roberta Metsola, cioè le due personalità alla guida della Commissione e del Parlamento europei, rispettivamente.
Personalità, tra l’altro, che non di rado vengono in Italia e che, in particolare la seconda, s’esprimono bene nella nostra lingua. Quasi dimentichiamo che Metsola sia maltese e Ursula tedesca, ossia “straniere” come una volta sarebbero state classificate. Con le loro identità e culture, oggi percepite come una proiezione europea che mescola, come in un buon cocktail, le diverse, belle e forti tradizioni di tutti gli ormai “nostri” Paesi.
E allora non si comprende la silenziosa ritrosia che si respira nel mondo politico italiano (sia nella maggioranza di centrodestra, sia nell’opposizione di centrosinistra) di fronte all’ipotesi concreta che Mario Draghi possa diventare il prossimo presidente della Commissione, comunque uno dei personaggi chiave dell’Europa sempre più necessaria. O forse qualcuno ancora crede che, senza l’unità del continente, potremmo affrontare la sfida militare di Vladimir Putin, la sfida commerciale di Xi Jinping o la sfida economica e politica dell’America che verrà dopo le elezioni di novembre?
Nessuno come Mario Draghi ha lo sperimentato identikit per rappresentare al meglio quest’Europa già alle prese con le nuove, grandi e anche gravi prove del mondo. Nessuno. Tant’è, che la sua candidatura proviene non da ambienti italiani (restiamo insuperabili nell’incapacità nazionale di valorizzare le eccellenze che abbiamo), bensì tedeschi e soprattutto francesi. Francesi, cioè i più nazionalisti in Europa, eppure accorti nell’ammettere che nessun francese ha le competenze, la credibilità e la determinazione dell’italiano Draghi. Ben lo sanno i tedeschi, che non sono riusciti, pur avendoci provato di continuo, a condizionarlo, quando guidava la Banca Centrale Europea a Francoforte. Nove anni di fila, e si è fatta sempre la politica monetaria “di Draghi”. Perché un’altra delle caratteristiche che all’uomo si riconoscono, è quella di saper convincere l’interlocutore, come succede con le persone che credono nelle loro idee, e perciò non temono di confrontarle con nessuno (e pure di cambiarle, se gli altri convincono delle loro).
La carta Draghi è una formidabile e irripetibile opportunità per l’Italia. Sarebbe persino bello che tutti i partiti già partiti per la campagna elettorale, convergessero sul nome del nostro SuperMario – ché anche lui, come l’Ursula, ha un familiare nomignolo – per un posto nell’Europa che conta e che decide.
Per una volta c’è un nome né di destra né di sinistra, e universalmente accreditato come persona di valore. Draghi è il nostro Maradona dell’economia e non solo, semplicemente un grande, a prescindere dalla maglietta – del Napoli o della Nazionale argentina nell’altrui caso – che indossi.
Lasciare Maradona in panchina per un miope calcolo politico, cioè per fare un dispetto a Giorgia Meloni, una ripicca a Elly Schlein, uno sgarbo a Matteo Renzi, insomma una provocazione a questo o a quel leader dell’intera galassia politica italiana, sarebbe folle e masochista.
Purtroppo è già successo, quando una parte della politica, e in maniera trasversale, ha sbarrato la strada a Draghi per prendere il posto di Sergio Mattarella al Quirinale. Sarebbe stata la naturale evoluzione della sua presidenza del Consiglio, quando per 17 mesi Draghi fu chiamato per il pronto soccorso nazionale.
Adesso i partiti hanno l’occasione per riparare al torto subìto. Subìto da noi cittadini e dallo stesso Mattarella, costretto, letteralmente, al bis, perché le forze politiche non si mettevano d’accordo sul nome di un successore. Appoggino Draghi in Europa non per lui né per loro, loro i partiti. Lo facciano nell’esclusivo interesse degli italiani e degli europei.
(Pubblicato sul quotidiano Alto Adige)
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