Skip to content

dc

Voglia di Dc a destra?

Il sorprendente pensiero dell'intellettuale di destra Marcello Veneziani sulla Dc è un segnale... Il corsivo di Damato.

Fa parte dell’evoluzione della destra meloniana alla guida del governo dall’autunno di due anni fa – o dell’involuzione, direbbero altri – il rimpianto che si avverte in questi giorni della Democrazia Cristiana (Dc) a 82 anni dalla sua fondazione, in clandestinità, e a 30 dalla morte. O dal suo “scioglimento per telegramma”, come disse a suo tempo con derisione Umberto Bossi, che aveva già cominciato a raccoglierne consistenti pezzi elettorali nel Nord con la sua Lega rampante. I cui militanti si ritrovavano sui prati di Pontida con la stessa voglia dissacrante e scurrile che molti anni dopo avrebbe stimolato nelle piazze italiane un comico di professione, Beppe Grillo, prestatosi alla politica.

Della Dc anticipando un convegno celebrativo promosso dall’ex ministro Ortensio Zecchino e moderato da Paolo Mieli – e da chi sennò?, verrebbe da chiedersi per lo storico forse più a mezzadria col giornalismo dopo il compianto Giovanni Spadolini – l’intellettuale di destra Marcello Veneziani ha scritto sulla Verità come delle sette meraviglie dei suoi tempi giovanili. Eppure Veneziani nella sua orgogliosa militanza missina, quando aveva ancora i calzoni corti, non era stato abituato a pensare così della Dc, peraltro in una terra – la Puglia – dove lo scudo crociato aveva prodotto uno dei suoi leader più prestigiosi, martire della democrazia come divenne Aldo Moro assassinato nel 1978 dalle brigate rosse.

Alla Dc d’altronde i missini non rinunciarono a dare una mano nei casi di bisogno: per esempio, nel 1953 contribuendo all’elezione di Giovanni Gronchi al Quirinale, nel 1957 appoggiando il governo di Adone Zoli con un voto pur “non richiesto e non gradito” e quello di Fernando Tambroni nel 1960, concorrendo nel 1963 all’elezione di Antonio Segni e, forse in modo determinante, nel 1971 di Giovanni Leone alla Presidenza della Repubblica. Essi avrebbero forse concorso su richiesta dell’allora presidente socialista del Consiglio Bettino Craxi, nel 1985, all’elezione di Arnaldo Forlani, sempre al Quirinale, se questi non avesse rinunciato a correre per dare la precedenza al collega di partito Francesco Cossiga. Ci avrebbe invece provato inutilmente nel 1992 ma in due sole votazioni, e nel clima ormai tossico e ghigliottinaro di Tangentopoli, quando i magistrati di Milano demolivano ogni giorno, e ogni notte, pezzi della cosiddetta prima Repubblica.

La Dc – ha scritto Veneziani – “aderiva così profondamente alle fibre del nostro Paese da essere considerata un elemento naturale della nostra vita pubblica e privata. Avevamo per così dire somatizzato la Dc o la Dc somatizzato l’Italia, pur senza alcuna enfasi di italianità e di identità nazionale”. E ancora: “Apparve quasi l’autobiografia degli italiani, come si disse pure del fascismo”, che era stato una “versione paterna” dello Stato come poi la Dc “la versione materna”.

Alla Dc di Alcide De Gasperi e dei suoi successori Veneziani ha inoltre riconosciuto il merito di essere stata “il più grande ammortizzatore di conflitti e guerre civili, di tensioni sociali, di passioni ideali”, considerando che “venivamo da un’Italia divisa in due e la Dc fu la tregua sine die, il disarmo e l’oblio dell’Italia venuta dal passato, dal Risorgimento, dalle guerre, dal fascismo e dall’antifascismo”. Essa “riportò l’Italia dalla storia a casa, anzi non pensò all’Italia ma si prese cura degli italiani e li riportò in famiglia, alla vita di ogni giorno”.

Della Dc non riescono a pensare e a scrivere così neppure quelli che provenendone sono nel Pd. E vi sono rimasti, diversamente da altri, anche dopo l’arrivo di Elly Schlein al suo vertice, seguendola martedì scorso nella piazza romana dei Santi Apostoli, e degli oppositori urlanti: qualcuno, come Graziano Delrio, per affacciarvisi soltanto e qualche altro, come Dario Franceschini, per godersi sino in fondo lo spettacolo di protesta contro il governo e le sue riforme.

È stato complesso il mondo democristiano anche nella sua dissoluzione, lasciando tracce o semi un po’ dappertutto, come d’altronde è accaduto anche ai liberali: un altro filone dell’Italia solo nominalmente esaurito. E, in un lib-lab filosofico e politico, pure ai socialisti riformisti liquidati come traditori dai comunisti.

Torna su