Non sarà un mito come Roberto Baggio o Francesco Totti. Però anche Sergio Pellisier, ex centravanti e capitano del Chievo Verona, ha tutte le carte in regola per essere considerato una bandiera. E, anche se non gioca più da parecchi anni, qualche giorno fa ha dimostrato il proprio attaccamento alla maglia gialloblu sborsando 100 mila euro per comprare il nome della sua vecchia società ormai fallita. Il Chievo potrà così tornare in campo partendo dalle serie e magari con il sogno di tornare un giorno in serie A. Nel gesto di Pellissier si ritrova il vero spirito del football e, per una volta almeno, non si pensa all’indegno show business che ha snaturato questo sport.
E, se ci si vuole riconciliare con il calcio, quello autentico, conviene leggere “Capitani. Miti, esempi, bandiere” di Gianfelice Facchetti (Piemme, 224 pagine, 18,90 euro). Attraverso le storie di tanti protagonisti, si riscopre che la grandezza di un giocatore non sta solo nel talento, nell’abilità di dribblare o tirare un rigore ma nel coraggio e nel carattere come dicevano i versi di Francesco de Gregori. E più di tutto conta la passione che sanno mettere in campo e trasmettere ai compagni di squadra e ai tifosi.
I capitani sono giocatori come tutti gli altri ma con qualche differenza perché si caricano sulle spalle una responsabilità maggiore. Serve un’innata capacità di leadership e alcuni sono riusciti a esprimerla anche senza indossare la fascia. Basti pensare al grande Gigi Riva. “Rombo di tuono” (come lo aveva soprannominato Gianni Brera) formalmente non è mai stato il capitano del Cagliari ma era talmente carismatico da esserne l’anima. E non ci sono tantissimi calciatori che come lui hanno rifiutato ingaggi milionari per continuare a giocare con la propria squadra.
Quelli che lo hanno fatto si chiamano bandiere e, oltre che un mito, sono un esempio di lealtà sportiva. Totti non si è fatto incantare dalle lusinghe del Real Madrid ed è rimasto alla Roma. Franco Baresi e Paolo Maldini hanno fatto la loro carriera nel Milan. Giacinto Facchetti e Javier Zanetti non hanno mai abbandonato la maglia neroazzurra dell’Inter e Giancarlo Antognoni quella viola della Fiorentina. A pensarci bene i calciatori bandiera non sono tantissimi ma neanche troppo pochi e vanno ricordati come modello di comportamento. “Capitani” di Gianfelice Facchetti non racconta soltanto la biografia di grandi campioni ma soprattutto la storia di grandi persone capaci di affrontare enormi difficoltà in campo e fuori. Si può cominciare da Francesco Calì, un siciliano emigrato in Svizzera che poi si trasferisce a Genoa e diventa il primo capitano di una nazionale italiana che non ha ancora la maglia azzurra e neppure i soldi per comprare pantaloncini dello stesso colore a tutti i giocatori.
Merito di “Capitani” è anche ricordare bandiere che talvolta sono state sbrigativamente e colpevolmente dimenticate come Agostino Di Bartolomei capitano della Roma finalista in coppa dei campioni. E anche questo è un modo per sottolineare i valori etici che sono alla base del calcio. Forse “Capitani” andrebbe fatto leggere ai giovani che frequentano le scuole calcio: avendo qualche buon esempio a cui ispirarsi magari da grandi saranno meno tentati dalle scommesse on line.