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corte penale internazionale

Le bizzarrie della Corte penale internazionale

Le indagini sull'Italia della curiosa Corte penale internazionale. I Graffi di Damato

Per quanto dichiaratamente e riduttivamente ”conoscitiva”, al limite della volontà o necessità di togliersi solo una curiosità, l’indagine annunciata dalla Corte penale internazionale dell’Aia sulla liberazione in Italia e il rimpatrio del generale libico Almasri, di cui essa aveva ordinato l’arresto, ha francamente il sapore di una beffa. La Corte evidentemente, oltre a non avere capito la corrispondenza intercorsa col Ministero della Giustizia italiana, su cui il guardasigilli Carlo Nordio ha riferito alla Camera e alla Senato, non dispone neppure di un attrezzato ufficio stampa che la informi delle reazioni ch’essa ha provocato in Italia con quel mandato di cattura di cui sono state necessarie due edizioni in poche ore, essendo stato clamorosamente sbagliato il primo eseguito nel nostro territorio nazionale.

Alla Corte dell’Aia non hanno ancora capito che il governo italiano non ha a sua volta compreso -o lo ha compreso e pretende spiegazioni che probabilmente non avrà mai in quanto indicibili- perché mai del generale capo della polizia giudiziaria libica, sotto indagini da mesi, essa abbia ordinato l’arresto, pur conoscendone tutti i movimenti, solo quando egli ha raggiunto l’Italia. Dopo avere potuto liberamente viaggiare per giorni in Gran Bretagna, in Belgio e in Germania, tutti aderenti a quell’organismo internazionale. La Corte ne ha preteso l’arresto solo nel paese, come appunto l’Italia, decisamente più esposto di tutti in Europa nei rapporti con la Libia, contrassegnati da forniture energetiche essenziali, dalla presenza di molti connazionali e di un’azienda di Stato come l’Eni e dalle partenze da quelle coste di gran parte dei migranti clandestini gestiti dalla criminalità.

Solo il fatto che la Corte finga di non avere capito ciò che ha combinato, fra errori documentali e documentati e tempi di intervento, giustifica ampiamente quello che ha invece scandalizzato le opposizioni in Italia: il rifiuto della rappresentanza del governo all’Onu di sottoscrivere con altri 79 paesi un documento di solidarietà ai giudici internazionali dell’Aia dopo l’attacco e le sanzioni annunciate dal presidente americano Donald Trump. Che considera giustamente un’infamia il genocidio contestato dalla Corte al premier israeliano Benjamin Netanyauh per la reazione al pogrom del 7 ottobre del 2023 dei terroristi palestinesi di Hamas, mossisi da Gaza per uccidere ebrei o farne ostaggi nella guerra messa nel conto.

La mancata adesione dell’Italia a quel documento è stata definita “una vergogna” dall’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte anche perché l’Italia partecipa alla Corte internazionale. Il cui statuto fu peraltro firmato a Roma nel 1998. Ma, se è per questo, cioè per un malinteso senso di patriottismo, a non volere aderire al recentissimo documento di solidarietà ai giudici dell’Aia è stato anche il governo del Giappone, pur essendo la giudice nipponica Tomoko Akane presidente in carica di quella Corte.

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