Appena eletto leader del Labour, Sir Keir Starmer ha intrapreso un percorso – partitico e politico – per riportare al governo i Laburisti. Si è spostato al centro, ha smesso di chiedere un secondo referendum per ribaltare la Brexit, si è avvolto nell’Union Jack e ha recuperato l’eredità del blairismo. Vaste programme, sicuramente. Eppure, per l’ex Procuratore della Corona britannica le spine non mancano. Settimana scorsa Starmer è andato in visita al quartier generale della Nato, dove ha incontrato il segretario dell’Alleanza Atlantica, Jason Stoltenberg, e ribadito l’impegno del Labour all’interno dell’organizzazione. Un impegno che parte da molto lontano, cioè da quando il governo di Clement Attlee e il Ministro degli Esteri di allora, Ernest Bevin, firmarono l’accordo per l’ingresso del Regno Unito nell’Alleanza. Si era nel 1949. Il recupero della tradizione beviniana, occidentale e atlantista, è fondamentale per Starmer per lasciarsi alle spalle il corbynismo, sempre tiepido nei confronti della Nato, quando non apertamente contrario. Jeremy Corbyn aveva al massimo affermato di “accettare la collocazione dello UK nella Nato” prima delle elezioni del 2019.
Così, ad assestare un colpo basso a Starmer è stato lo Young Labour, l’associazione giovanile del partito composta da ragazzi tra i 16 e i 24 anni, in gran parte fan di Corbyn e del gruppo di attivisti che si chiama Momentum, e che ancora si batte per spostare a sinistra l’asse del partito. Con un tweet molto aspro i giovani laburisti hanno smontato il viaggio di Starmer a Bruxelles, sottolineando come per loro lo UK dovrebbe “abbandonare la Nato” e diventare una “forza per la pace nel mondo”. Continuano, dunque, le polemiche sul fianco sinistro di Sir Keir, dopo il Congresso che lo ha visto contestato mentre pronunciava la sua relazione nel settembre 2021.
La settimana scorsa, però altri due eventi hanno turbato la marcia del Labour verso il ritorno al potere. In primis, la sospensione del deputato londinese Neil Coyle per un commento razzista espresso alla buvette di Westminster. Successivamente, la deputata di Canterbury, Rosie Duffield, si è aperta al giornalista Christopher Hope del Daily Telegraph raccontando la sua solitudine all’interno del partito, le continue vessazioni per avere espresso opinioni contro l’ideologia gender, e ha definito la lotta all’antisemitismo della nuova leadership come “vuota retorica”. Duffield dovrà decidere in questi giorni se lasciare il movimento e diventare una MP indipendente. Oppure, come suggerisce qualcuno, se fare il percorso inverso del deputato di Bury, Christian Wakeford, e passare dalla minoranza laburista alla maggioranza conservatrice aderendo ai Tories.
Il risultato di tutto questo caos è stato evidente nei sondaggi sia di YouGov che di Redfield&Wilton, che hanno mostrato un Labour sempre davanti ai Tories ma solamente di 3 punti percentuali, quando nelle precedenti rilevazioni il distacco era a due cifre. Un campanello d’allarme per Sir Keir: di solito, a questo punto della legislatura, il partito all’opposizione è avanti di molti più punti rispetto a quello al governo. L’affievolirsi dello scandalo partygate – pronto, però, a rinfocolarsi con nuove rivelazioni e con l’indagine della Metropolitan Police – ha fatto emergere la modestia dell’attuale proposta politica Laburista incentrata sulla critica al Premier e poco altro, e le divisioni interne al partito. Se Johnson non ride, Starmer, di certo, non pare messo molto meglio.