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La società italiana ammalata di virtualità. I pensieri del prof. Ferrarotti

Cosa pensava della democrazia, dell'era della virtualità e dello stato di salute della società italiana il professor Franco Ferrarotti, padre della sociologia in Italia. L'intervista del direttore editoriale di Start Magazine, Michele Guerriero, raccolta nell'estate 2024

All’età di 98 anni, il 13 novembre, è morto Franco Ferrarotti. professore emerito della Sapienza, tra gli accademici ai quali si deve l’istituzionalizzazione della sociologia nel nostro Paese.

Uomo dalla carriera ricchissima, accademico, traduttore, deputato per Movimento Comunità, diplomatico per la OECE, e dalle relazioni di primissimo piano, da Adriano Olivetti, al prof. Nicola Abbagnano, insieme al quale ha fondato le riviste “Quaderni di Sociologia” e, successivamente, “La critica sociologica”.

Michele Guerriero, direttore editoriale di Start Magazine, la scorsa estate ha intervistato Ferrarotti nella sua casa-biblioteca, il luogo dei suoi studi e delle sue riflessioni condotte, sino all’ultimo, con acume e rigore.

Ecco alcuni brani della conversazione.

L’ITALIA: UN PAESE ALLA RICERCA DELLA COESIONE NAZIONALE

Un paese nato per un’intuizione politica e non per una spinta dal basso. Da questo “peccato originale”, secondo Ferrarotti, il nostro paese trae la tendenza alla disgregazione e a raccogliersi come un sol uomo.

“L’Italia deve cercare di darsi una coesione nazionale – sottolineò il sociologo – ma bisogna riconoscere che l’Unità italiana è stata il capolavoro di quel finissimo tessitore che era Camillo Benso Conte di Cavour e di una dinastia antica, una delle più antiche d’Europa, la dinastia dei Savoia”. Una grande fortuna e sfortuna per il nostro Paese, “una passerella tra il nord Europa e l’Africa”, che ha saputo arricchirsi di questa grande varietà, “dell’incontro fra popoli diversi” e della “grande vocazione del Mediterraneo, il mare fra le terre”. Caratteristiche che hanno conferito agli italiani “un’identità sociale fortissima ma una unità politica fragile”.

L’AMOUR EST DANS LE TOUCHER

Anche nell’era della virtualità l’uomo, nel suo percorso di conoscenza, non può prescindere dall’esperienza reale. “L’amour est dans le toucher”, ci disse il prof. Ferrarotti discutendo del ruolo delle comunicazioni virtuali, elettroniche, che danno forma alla contemporaneità: “Ora noi siamo dominati dalla comunicazione elettronica. Ottima, planetaria, in tempo reale pubblicità ma autoreferenziale. Una comunicazione che nega l’altro blocca il dialogo. Tutti comunicano a tutto e a nessuno, quindi. Oltretutto non hanno niente da comunicare perché c’è povertà di esperienza. L’esperienza è nell’andare sul posto, sporcarsi le scarpe, prendersi un raffreddore, guardare, toccare, parlare, non cliccare. Manca il faccia a faccia. E la democrazia è un faccia a faccia. Ma in Italia poi, gli italiani che parlano più con le mani, con i gesti che non con le parole, come in tutto il Mediterraneo”.

Lungi da avere una posizione “luddista”, Ferrarotti pone al centro del discorso l’uomo, le sue peculiarità e il suo, insostituibile, ruolo. “Io non ho niente contro la macchina – aggiunse il professore – ma la macchina funziona e l’uomo pensa, la macchina si spegne, si accende, si spegne, si riaccende… l’uomo è vivo o è morto. La macchina ripete sé stessa. L’uomo riflette”.

LA DEMOCRAZIA È CONFRONTO FISICO E PRESENZA

Se la democrazia è un faccia a faccia, la reticenza alla partecipazione democratica, con affluenze alle urne sempre meno corpose, sono il sintomo di una democrazia malata. “È il segno stenografico di un distacco tra cittadini e istituzioni. È un segnale di pericolo che non può essere sanato dall’innovazione tecnologica – sottolineò Ferrarotti -. Io non ho nulla contro le macchine, rappresentano un valore, ma è un valore strumentale non finale. La democrazia non è premere un tasto, la democrazia vuol dire partecipazione, discussione, anche animata, confronto fisico, presenza”.

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