Skip to content

La Gintoneria è un salutare stile di vita secondo Dagospia

Gintoneria?Dagospia parla di coda di paglia e di miseria giornalistica, ma solo per denunciare l'ipocrisia. Ma una società, e in essa l'informazione, può reggersi su simili lezioni di vita? La lettera di Max Del Papa, scrittore e giornalista

Caro direttore,

abbiamo finalmente chiaro l’orizzonte, sappiamo qual è la Mecca dei giornalisti. È la Gintoneria di Wanna Marchi & figlia Stefania e di quell’altro esemplare che risponde al nome di Davide Lacerenza, uno passato alla svelta dalle cassette di frutta ai mercati generali alla Ferrari, sia pure a noleggio.

In questo bordello a cielo aperto, sigillato dalla Finanza e subito meta di pellegrinaggio dei vorrei ma non posso ma mi selfo lo stesso, si accalcavano, tra gli altri parecchi campioni dell’informazione un po’ disattenta, che, dopo essersele fatte sfondare, stanno attualmente a chiappe strette per la paura che trapeli ciò che fino a ieri esibivano con superba tracotanza, siccome loro erano loro e voi…

Temono il solito onnipresente Corona, lisciato, esaltato, ma quello quando gli fa comodo non conosce più amici e nemici, per uno scooppetto in più si vende la madre, il figlio, la fidanzata e il fidanzato.

In questa terra promessa della libera informazione che sta dietro la Stazione Centrale si consumavano faccende che vanno dal riciclaggio al racket, dalla prostituzione allo spaccio al consumo di droghe al giro mafioso calabro e balcanico: potevano mancare, in ruolo di aficionados, quelli che fanno da garanzia, da presidio democratico, i giornalisti dediti alla verità, nient’altro che la verità, senza guardare in faccia nessuno (per il culo si fa un’eccezione)? Sarà che lì dentro era il regno di quelle che si riverginavano tra una pippata e l’altra: questione di feeling, di attitudini.

A proposito: il Lacerenza, secondo riscontri investigativi, pare avesse avviato alla professione antica, ma sempre in voga, anche una fidanzata ancor minorenne, perché quando c’è il talento va sviluppato per tempo. Qui vigevano pratiche spericolate, di grande livello tecnico, quali “spingere la coca col naso su per il culo delle escort” e farsi pisciare addosso pagandoci pure tremila euro. Anche in questo caso, per certi colleghi, si fa per dire, si direbbe questione di coincidenze esoteriche, di sincronicità junghiane.

Sicché non pare poi così surreale la querelle tra poveri amanti, campioni dell’informazione d’inchiesta, che si rinfacciano l’esposizione del “Ginto”, hai cominciato tu no prima tu. Hanno cominciato tutti, e probabilmente i due ex si ritroveranno chez Wanna appena il locale riapre.

Dagospia, come dire il pulpito più alto, così risolve la faccenda: così fan tutti e tutti fanno bene così. Per dire che queste sono le cose che tirano, bando ai moralismi. Dagospia parla di coda di paglia e di miseria giornalistica, ma solo per denunciare l’ipocrisia: meglio fare come chi partecipa alla festa e non si vergogna, in quella sorta di Grande Bellezza che è il lerciume consacrato. Così fan tutti significa che la mutazione dell’informazione da cinghia di trasmissione bene o male democratica a strumento del liberismo autoritario e malavitoso è compiuta ovvero tutti sono pronti a partecipare alla festa nella più totale irresponsabilità e nello sprofondo qualitativo abissale cioè, come diceva Wanna Marchi in persona, “i coglioni vanno inculati”.

Ma una società, e in essa l’informazione, può reggersi su simili lezioni di vita?

Torna su