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La dignità di Mattarella

Che cosa ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel discorso al Parlamento in seduta comune successivo al giuramento

 

Come già nella brevissima dichiarazione di sabato sera al Quirinale, dopo avere ricevuto dal presidente della Camera la notifica della rielezione, il presidente della Repubblica ha riproposto nel discorso al Parlamento in seduta comune successivo al giuramento le emergenze “sanitaria, economica e sociale” che attanagliano l’Italia. Ed hanno certamente contribuito alla responsabile decisione di obbedire ai senatori, deputati e delegati regionali che lo hanno confermato.Egli ha in un certo senso graziato la politica non aggiungendo la sua emergenza alle altre. Che è stata invece la più macroscopica emersa dalle sette votazioni inutili svoltesi prima dell’ottavo e decisivo scrutinio, preceduto da quel rito della resa dei partiti, i cui leader d’altronde Mattarella non ha neppure voluto ricevere al Quirinale per raccogliere l’appello generale ad accettare la conferma, esclusa solo la componente di destra dei “fratelli d’Italia”. Egli ha preferito ricevere e accogliere una simile richiesta formulata dai gruppi parlamentari.

Della centralità del Parlamento il capo dello Stato ha parlato proprio nella parte iniziale del discorso a Montecitorio lamentando come più chiaramente non poteva -fra gli applausi scroscianti levatisi da ogni settore dell’aula- le ristrettezze impostegli col percorso troppo accelerato di tante leggi, a cominciare da quelle del bilancio. Mancava solo che dicesse papale papale, a costo di umiliare i presidenti delle assemblee legislative che lo affiancavano: “Non si ripeta più”.

Da vecchio, consumato, navigato parlamentarista, e professore di diritto parlamentare, Mattarella ha pronunciato un discorso studiato apposta per non sfuggire a nessuno, ma proprio a nessuno degli argomenti di cui dovranno occuparsi le Camere e i governi che prima o dopo succederanno a quello in carica presieduto da Mario Draghi. Cui il capo dello Stati intanto ha voluto rivolgere un ringraziamento e un augurio a conferma del rapporto fiduciario instauratosi l’anno scorso, con la chiamata a Palazzo Chigi di ratificata con la larga fiducia parlamentare che non gli è mai venuta meno sino ad ora, per quante insofferenze partitiche si siano avvertite, anche nelle ultime ore.

In nome della “dignità” -parola quasi magica alla quale egli ha voluto ricorrere- Mattarella ha toccato tutti i problemi sul tappeto sollecitandone la soluzione perché, in effetti, ogni diritto mancato o violato è un vulnus alla dignità di ciascun cittadino sofferente e del Paese nel suo insieme.

Questa volta spero che nessuno contesti a Mattarella- come purtroppo accadde sui giornali di area del centrodestra in occasione del suo messaggio televisivo di Capodanno, che doveva essere l’ultimo della sua esperienza al Quirinale- di non avere affrontato il tema della giustizia. Eccome l’ha affrontato, insistendo con forza sulla necessità di una “riforma” che restituisca finalmente “credibilità” ad una magistratura che evidentemente l’ha perduta, anche con le sue decisioni “arbitrarie e imprevedibili”.

E’ vero -.prevengo qualche ipercritico- che il presidente della Repubblica non ha ripetuto nel discorso di insediamento l’esortazione alla “rigenerazione” dell’ordine giudiziario più volte evocata in incontri al Quirinale con toghe di ogni tipo e nel Consiglio Superiore della Magistratura. Ma è come se lo avesse fatto quando ha detto praticamente che il recupero della credibilità presso i cittadini non può prescindere dalla rinuncia dei magistrati a “logiche di appartenenza”. Che sono tali sia quando le carriere si sviluppano per correnti sia quando le inchieste si conducono, e persino le sentenze vengono emesse, con spirito di parte.

L’applauso che ha accompagnato la parte del discorso di Mattarella sui problemi della giustizia è stato il più lungo e nutrito -o tale mi è apparso- dei tanti che hanno interrotto l’intervento del presidente rieletto della Repubblica: applausi che nel complesso sono durati, compreso quello finale, più di tutto il discorso, a dimostrazione della particolare e fortunata sintonia che si è creata fra il capo dello Stato e gli italiani, e viceversa.

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