La polemica del “karaoke” non sembra attenuarsi. Ad esercitarsi sul tema non solo la sinistra e editorialisti di area. Anche raffinati politologi e intellettuali intervengono. E pure loro contestano, oltre all'”incriminato” karaoke, a Giorgia Meloni e Matteo Salvini, alla festa dei 50 anni di quest’ultimo, persino la stessa canzone. E cioè di essersi esibiti al piano con La canzone di Marinella, capolavoro di Fabrizio De André, annegata in un fiume. E per circostanze molto diverse da quelle delle tragedie migratorie di questi giorni.
Ma nonostante questo, stando anche a certe puntute e severe analisi, pure la scelta stessa della canzone svelerebbe l’anima di un centrodestra poco avvezzo alle regole delle buone convenzioni. Ora, a parte il fatto che considerazioni del genere denotano oltre che poco rispetto, forse proprio scarsa conoscenza del mondo degli elettori in carne e ossa del centrodestra, che non solo è al governo nazionale, dopo aver vinto con ampio margine le elezioni politiche ed è alla guida della stragrande maggioranza delle Regioni, con consenso trasversale, dai cosiddetti ceti popolari alla borghesia produttiva e laureata anche medio-alta che sta nel Paese più profondo, ci si chiede per tornare al tema canoro cosa sarebbe accaduto se fosse stata scelta un’altra canzone.
Se il duo Meloni-Salvini, anzi il trio – perché ad applaudirli in quella “famigerata” festa privata di compleanno c’era con loro anche Silvio Berlusconi, che ha fatto postare subito l’immagine sui social – avesse intonato altri capolavori di altri grandi artisti in cui si parla del mare. È quello che ha fatto ieri in un editoriale il direttore del quotidiano La Verità, Maurizio Belpietro, chiedendosi con buona conoscenza della materia cosa sarebbe accaduto se fossero state scelte canzoni marine, anziché con la scena di un fiume.
E questo dal momento che oppositori della nuova “primavera” della sinistra e detrattori snob del governo di centrodestra sono arrivati al punto di fare della strumentalizzazione della tragedia di Cutro e di altre il metro di misura per bacchettare persino i comportamenti privati del premier e dei leader della coalizione al governo. “Sciacalli, non lo insinuo, lo affermo”, li ha attaccati, senza mezzi termini, a “Zona bianca” su Rete 4, Daniele Capezzone, editorialista della Verità.
Insomma, galeotto il video e chi lo postò. Ovvero, il giornalista conduttore Mediaset, vicedirettore del quotidiano Il Giornale, Nicola Porro, che ieri in un articolo per la sua “Zuppa” online ha dovuto far presente quello che anche i bambini avevano già capito: quel video era stato fatto da altre decine di persone, come di solito avviene in tutte le feste di compleanno, famose e non famose. Quindi, se non lo avesse postato lui e per “dare la notizia” dell’unità reale del centrodestra, cementato anche dall’amicizia personale, mentre ogni giorno si parla sui “giornaloni” di coalizione ai ferri corti e di crisi di governo dietro l’angolo, quel video sarebbe comunque girato.
Resta solo a chi scrive un’altra curiosità e la buttiamo lì con una punta di ironia, se questa dal politicamente corretto e dai suoi surreali estremismi sconnessi dall’Italia reale è ancora concessa. Meloni e Salvini forse non la conoscono o non è nel loro repertorio, ma è stata una delle colonne sonore di generazioni e ancora oggi a qualche piano bar la cantano anche i più giovani, se non altro per la sua musica molto bella e orecchiabile.
Ecco, in tempi di richiami sembra disciplinari a dipendenti per aver fatto annunci su mezzi pubblici di “far attenzione agli zingari” (avrebbero magari fatto meglio a parlare di borseggiatori, ma il richiamo appare lo stesso abnorme a fronte dei mille guai di Roma), in tempi in cui una consigliera comunale Pd di Milano condanna (forse anche qui con qualche ragione, ma allora dovrebbero essere proibiti video per tutti, perché potrebbe esserci sempre anche in situazioni più innocenti violazione della privacy) chi fa video a rom che scippano, ecco, dicevamo, cosa sarebbe accaduto se Meloni e Salvini avessero cantato “Che colpa ne ho se il cuore è uno zingaro e va, catene non ha…”, là, là, là.
O qui si vuole incolpare anche quel bravo artista dimenticato di Nicola Di Bari (e con lui magari Nada, che la cantava in coppia, vincendo un Festival di Sanremo) di “razzismo”? Alle strumentalizzazioni contro gli avversari di tragedie e fenomeni epocali, agli estremismi del politicamente corretto di una sinistra che ha perso “il centro” se non forse il baricentro non sembra proprio esserci limite. In sprezzo anche del rischio del ridicolo.
L’Italia reale è altrove.