In una cornice di grande segretezza, il 29 agosto scorso ha fatto il suo ingresso in servizio nella Marina Indiana il sottomarino nucleare lanciamissili balistici (Submersible Ship Ballistic Nuclear o SSBN, secondo la classificazione Americana poi universalmente adottata) Arighaat, seconda unità della classe Arihant. A questi 2 sottomarini, e agli altrettanti che seguiranno e che sono già in costruzione, è e sarà dunque affidato il compito di assicurare la deterrenza nucleare imbarcata nei confronti dei potenziali nemici dell’India stessa.
Ovvero, in prima battuta, quello che potremmo definire il “nemico storico” e cioè il Pakistan; a propria volta, lo si ricorda, potenza nucleare. Un Paese con il quale i confronti militari diretti sono stati diversi dal 1947 quasi fino a oggi. E in seconda battuta, la Cina; quest’ultima infatti da una parte è essa stessa grande “sponsor” del Pakistan e, dall’altra, un vero e proprio “competitor” strategico per l’intera area dell’Indo-Pacifico. E non a caso, proprio la Marina di Nuova Delhi è la Forza Armata Indiana che più di ogni altra ragiona in termini di confronto con quella Cinese.
La segretezza come tratto distintivo
Si è accennato in apertura alla cornice all’interno della quale si è svolto l’ingresso in servizio dell’Arighaat; ebbene è interessante notare come proprio questo contesto di segretezza sia il tratto distintivo dell’intero programma. Le informazioni ufficiali sono infatti pressoché inesistenti, quelle ufficiose comunque poche e, dato ancora più interessante, le immagini addirittura inesistenti. Di fatto, dei “sottomarini fantasma”.
E se comunque è comprensibile la massima riservatezza vista la particolare missione affidata a questi battelli, al tempo stesso sorprende comunque questo “embargo informativo”. Anche perché di solito, e anzi sempre più negli ultimi anni, è proprio l’India per prima a celebrare gli sviluppi e le conquiste dell’industria locale, Sennonché, questo è quanto; al punto che la descrizione del programma e dei battelli stessi inevitabilmente deve fare i conti con l’ampio ricorso al condizionale.
Perché è importante l’arrivo del sottomarino Arighaat
I motivi di tale importanza sono 2. Il primo è più facilmente intuibile; il deterrente nucleare strategico Indiano acquista un’altra piattaforma di (potenziale) lancio dei missili, garantendo una maggiore presenza in mare e, di conseguenza, una maggiore efficacia proprio in termini di deterrenza. I sottomarini, così come qualsiasi altra nave, sono soggetti a fermi legati a varie esigenze e quindi la disponibilità di un altro battello serve a garantire la possibilità di sostituire il primo in caso di necessità; e viceversa.
Il secondo motivo è più tecnico; con l’arrivo prima dell’Arihant (identificato anche con la sigla S2)
e ora dell’Arighaat (S3) si conclude infatti una prima fase. Questo perchè il programma prevede uno step evolutivo e cioè la realizzazione di altri 2 sottomarini che però presenteranno dimensioni nonché capacità operative incrementate; nello specifico, l’Aridhaman (S4) e un altro battello per ora indicato solo come S4* (più, forse un quinto sottomarino ancora).
Che sottomarini sono gli Arihant
La genesi di queste piattaforme può essere fatta risalire agli anni 90, quando l’India decide di avviare il programma di ricerca Advanced Technology Vessel (ATV); in quel momento più genericamente indirizzato a sviluppare tutte le tecnologie necessarie alla realizzazione di un sottomarino a propulsione nucleare. Solo in un secondo momento esso si indirizzerà in maniera più specifica verso la costruzione di un SSBN.
Al termine di questo lavoro di sviluppo, la prima unità comincia così a prendere forma intorno al 2004 con l’impostazione dello stesso Arihant, che viene poi varato 5 anni dopo, per entrare infine in servizio nel 2016. Tempi lunghi dunque, non diversi da quelli dell’Arighaat (impostazione nel 2009, varo nel 2017 e ingresso in servizio appena avvenuto). Delle 2 unità successive si sa ancora meno; solo che l’Aridhaman è stato varato a fine 2021. Oltre a ciò, nessun’altra indicazione.
Dal punto di vista progettuale, una delle ipotesi più ricorrenti è che questi sottomarini siano almeno in parte derivati da quelli della classe Kilo di origine Sovietica, 10 esemplari dei quali sono stati/sono in servizio con la stessa Marina Indiana (classe Sindhughosh). Per quanto riguarda le dimensioni, si stima che gli Arihant abbiano una lunghezza di 111 metri circa e una larghezza di 11; questo per gli S2 e S3, laddove per i successivi S4 e S4* il primo valore sale fino a 130 metri. Ne risulta che il dislocamento passa dalle 6.000 tonnellate dei primi alle 7.000 di questi ultimi; di fatto, i più piccoli SSBN realmente operativi al mondo.
L’impianto propulsivo è costituito da un reattore nucleare che a sua volta alimenta una turbina a vapore per la generazione di elettricità; poi utilizzata per la propulsione. Non sono noti altri dettagli, se non che tale impianto dovrebbe essere comunque in grado di spingere questi battelli a una velocità massima di almeno 24 nodi in immersione; garantendo ovviamente un’ampia autonomia.
Infine, l’equipaggio risulta essere composto da 95 persone, le quali possono fare affidamento sui sistemi (di combattimento e sensori, in particolare) largamente sviluppati a livello locale. Fattore quest’ultimo di una certa importanza, perché la “sovranità” tecnologica e industriale in un ambito così delicato garantisce una maggiore autonomia/sicurezza; anche se poi c’è un prezzo da pagare in termini di tempi di costruzione (che, come abbiamo visto, sono molto lunghi) e di problemi tecnici vari già riscontrati sulla prima unità.
L’armamento degli Arihant
Ricordata la presenza di 6 tubi lanciasiluri da 533 mm (per il lancio di siluri, ovviamente, ma anche di mine e missili antinave), inevitabilmente il tema più importante è però rappresentato dal capitolo Submarine-Launched Ballistic Missile (SLBM); ovvero, e per l’appunto, i missili balistici imbarcati.
Sugli S2 e S3 sono presenti 4 tubi di lancio verticali; numero che dovrebbe salire a 8 sugli S4 e S4*. Cosa contengano esattamente questi tubi però non è del tutto chiaro; nel senso che secondo alcune fonti, ciascuno di essi sarebbe in grado di ospitare un solo SLBM del tipo K-15 Sagarika (gittata stimata di circa 700 km) mentre secondo altre ancora, peraltro più diffuse, viste le sue ridotte dimensioni i K-15 presenti in ciascuna cella di lancio sarebbero 3. Per un totale dunque di 12 missili, invece di 4.
Ma i K-15 stessi sono solo una soluzione temporanea. Tutte le unità della classe o hanno già ricevuto o riceveranno i più capaci SLBM K-4; un missile caratterizzato da una gittata stimata in oltre 4.000 km. Non moltissimi rispetto ad altri SLBM in servizio nelle altre Marine ma comunque già più che sufficienti per le esigenze di quella Indiana; con i K-4 infatti, l’intero Pakistan diventa raggiungibile, mantenendo al tempo stesso i sottomarini lanciatori a una distanza di sicurezza dalle coste di quel Paese.
In conclusione, al netto dei limiti e delle difficoltà già evidenziate nel corso di questa analisi, è evidente che la strada tracciata da Nuova Delhi si comincia a delineare. Mentre infatti fino oggi nell’ambito della cosiddetta “triade nucleare” a disposizione dell’India si era privilegiata la componente basata a terra (con i missili balistici Agni) e quella dispiegata dagli aerei (con le bombe a disposizione di vari velivoli dell’Aeronautica Militare Indiana), oggi si sta assistendo a un progressivo potenziamento di quella basata in mare; il tutto per la semplice (ma fondamentale) ragione che quest’ultima rimane la più “survivable” fra tutte.
Certo, il divario con altri Paesi che dispongono di simili capacità (primo fra tutti, la Cina) rimane ancora importante; ma il dato sopra evidenziato rimane. E cioè la doppia spinta dell’India; quella rivolta a una maggiore indipendenza tecnologica e industriale (ben testimoniata dal vasto programma “Make in India”, avviato nel 2014) e quella volta ad aumentare le capacità operative delle sue Forze Armate, ivi compreso il proprio deterrente nucleare strategico. Con l’inevitabile controindicazione però di una parte di mondo, e cioè l’Indo-Pacifico, che continua ad accumulare nuovi armamenti e nuove tensioni.