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L’eredità dello storico Giovanni Sabbatucci

“Il trasformismo come sistema” di Giovanni Sabbatucci è una lezione di storia che i politici di oggi (e non soltanto quelli italiani) farebbero bene a rileggere con attenzione. Tullio Fazzolari ricorda lo storico morto a 80 anni lo scorso 2 dicembre

Qualche volta è difficile parlare soltanto di un libro perché la vera intenzione è ricordare chi lo ha scritto e da una settimana non c’è più. Giovanni Sabbatucci è stato per cinquant’anni uno dei più seri e più autorevoli storici italiani. Allievo prediletto di Renzo De Felice, è stato a sua volta maestro di tanti giovani studiosi dall’università di Macerata alla Sapienza di Roma. A differenza di altri accademici molto più presenzialisti, Sabbatucci raramente partecipava a trasmissioni televisive e comunque solo per parlare di argomenti su cui aveva indiscussa competenza. Sicuramente preferiva scrivere. Tra saggi e manuali universitari si contano almeno una quarantina di opere a cui, negli anni, si sono aggiunte le collaborazioni con numerosi giornali dal settimanale “L’Espresso” di Livio Zanetti alle pagine culturali del “Corriere della Sera” fino agli editoriali per il “Messaggero”.

Per molti, a cominciare dagli ex studenti, il libro più noto di Sabbatucci è il manuale scritto con Vittorio Vidotto e Andrea Giardina di cui sono stati venduti circa due milioni di copie. Ma se della sua imponente produzione letteraria si deve citare soltanto un titolo la scelta cade sicuramente su un saggio pubblicato vent’anni fa di cui non sarebbe affatto inopportuna una ristampa: “Il trasformismo come sistema” (Laterza, VII-130 pagine, 14 euro). Le ragioni sono due. La prima è che è considerato quasi universalmente la sua opera più importante. La seconda è che, nonostante la data di pubblicazione sia il 2003, risulta a tutti gli effetti un libro di grande attualità che, pur parlando di vicende del passato, riesce a essere un’analisi della politica italiana con tutti i suoi pregi e difetti.

L’accezione comune che si dà alla parola trasformismo è quella dell’insulto rivolto ai voltagabbana. Non ne uscì indenne neppure Winston Churchill quando passò dai liberali ai conservatori e replicò con la celebre frase : “C’è chi cambia principi per il proprio partito. Io ho cambiato partito per i miei principi”. Può esserci, dunque, nel trasformismo un interesse superiore. Il saggio di Giovanni Sabbatucci ci riporta all’Italia postunitaria, alla complessità dei problemi che incombevano sul paese e alla difficile governabilità di uno Stato ancora in costruzione. Per ottenere maggiore stabilità il primo ministro Agostino Depretis, leader della Sinistra storica, aprì le porte della maggioranza ai parlamentari  dell’opposizione ottenendo l’appoggio  di molti esponenti della Destra. E dei risultati ottenuti grazie ai nuovi consensi basta ricordare l’abolizione della tassa sul macinato o l’estensione del diritto di voto. Il trasformismo, dunque, non è sempre sinonimo di malcostume politico. Al contrario può essere la rinuncia a interessi di parte in nome dell’interesse nazionale. Ecco “Il trasformismo come sistema” di Giovanni Sabbatucci è una lezione di storia che i politici di oggi (e non soltanto quelli italiani) farebbero bene a leggere con attenzione. Cambiare idea, schieramento o alleanze di per sé non è un delitto a condizione però che lo si faccia per il bene comune.

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