Interroghiamoci un momento su cosa, nella vita, ci abbia reso più felici o infelici. Quasi sicuramente, i fatti privati avranno avuto molto più peso delle vicende professionali o dei grandi eventi storici. Affetti, amori, relazioni personali sono quello che più determinano la nostra soddisfazione, a partire dai primi e fondamentali in età infantile, passando per il fondamentale snodo adolescenziale e ancora in età matura, perfino senile. Non si comprende pertanto perché, nel dibattito pubblico, nell’attenzione politica e mediatica, queste vicende restino relegate a favore di questioni ovviamente rilevanti (per carità), come i casi Santanchè e Almasri, fino però a trasformarli in tormentoni onanistici.
Negli spiragli concessi al cosiddetto “privato”, emergono invece questioni assolutamente importanti e meritorie di stare al centro della riflessione pubblica. Basti vedere l’outing di Pupi Avati sulla sua riscoperta dell’amore per la moglie, trascurata e tradita, come il regista ha già confessato in numerosi altri momenti, oltre che in un film autobiografico. Come non pensare a tante altre storie, diverse nella trama ma comuni nel confermare il problematico intreccio tra successo, vocazione e cura del proprio personale recinto affettivo e famigliare? Una questione che, com’è noto, ha coinvolto anche il premier Meloni.
Ancor più indicativa di quest’intreccio lo scoop fotografico sulla presunta gravidanza di Maria Rosaria Boccia, che ha fatto riaffiorare aspetti particolarmente intimi della sua relazione con Gennaro Sangiuliano, incluso il dolore confessato dall’allora ministro per non essere stato padre. Per non dire poi del sacrosanto pronunciamento della Corte penale internazionale che ha giudicato i leader talebani rei e dunque perseguibili per crimine di genere, per la loro odiosa discriminazione della donna, per l’apartheid feroce al quale sottopongono il genere femminile. Occasione per dolerci, una volta di più, della sciagurata fuga che ha consegnato l’Afghanistan nelle mani di questi barbari.
Il privato è politico e pubblico, dunque anche giudiziario. Lascia pensare in tal senso il verdetto della Corte di giustizia europea che ha contestato la ragione di un marito nel divorzio, basata al fatto che la moglie non accettasse rapporti sessuali. Nell’impeccabile determinazione di non assecondare lo stupro di coppia, la Corte stabilisce cioè che sposarsi non significhi in automatico fare sesso, anche se non lo si è stabilito con chiarezza prima di contrarlo. E rientriamo nelle questioni che hanno probabilmente angustiato le esistenze di chissà quanti uomini e donne.