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il cielo sopra Berlino

Il cielo sopra Berlino e quella malinconia che resiste

Presa come è dalla frenesia di cancellare il passato e costruire un futuro che è già presente, oggi Berlino è tutta un’altra cosa da quella di Wim Wenders. Ma qualche angolo della malinconia passata ancora resiste, in qualche cortile tra i vecchi palazzi sopravvissuti al ciclone della ricostruzione. L'articolo di Pierluigi Mennitti da Berlino

 

Chi ha avuto la ventura di conoscere Berlino ai tempi del Muro che la divideva in due, tra la metà capitalista e quella comunista, tra la metà libera e quella incatenata, non può dimenticare una delle scene più commoventi del Cielo sopra Berlino, il film poetico girato da Wim Wenders nel 1987. Quella in cui uno stralunato Peter Falk si aggira nel deserto della Potsdamer Platz rasa al suolo prima dalla guerra e poi dalla terra di nessuno, la striscia di un paio di chilometri compresa tra le due barriere che, assieme, formavano il complesso frontaliero cittadino chiamato Muro. O, come si usava chiamarlo dall’altra parte, “bastione di difesa antifascista”.

Peter Falk, nella parte di sé stesso, bofonchia sul filo della memoria: “Non riesco a trovare la Potsdamer Platz. No, non credo sia qui. No, no, non può essere, perché alla Potsdamer Platz c’era il Caffè Josty. Ci venivo il pomeriggio a chiacchierare e a bere un caffè, guardavo la gente dopo aver fumato i miei sigari da Löser&Wolf, una tabaccheria prestigiosa proprio qui di fronte. Allora, non può essere qui la Potsdamer Platz. E no, non s’incontra nessuno cui poter chiedere. Era una piazza animata, tram, omnibus a cavalli e due auto: la mia e quella della cioccolata Haman. Anche i magazzini Wertheim erano qui. E poi, all’improvviso, là sventolarono delle bandiere, l’intera piazza ne era piena e la gente non era più gentile e neanche la polizia. Ma non mi do per vinto finché non ho trovato la Potsdamer Platz. Dove sono i miei eroi, dove siete voi figli miei, dove stanno i miei e gli ottusi, quelli delle origini. Chiamami, o musa, il povero immortale cantore che, abbandonato dai mortali suoi uditori, perse la voce, lui che, angelo del racconto, è diventato il suonatore d’organetto là fuori, ignorato e deriso, alle soglie della terra di nessuno”.

Il Cielo sopra Berlino resta a tutt’oggi una delle testimonianze più belle e sentimentali della Berlino che fu, dei suoi personaggi malinconici e delle sue atmosfere degradate. Non era tutta così la parte occidentale della città. Anzi, nel vecchio centro attorno a Kurfüstendamm, dove le vetrine dei grandi magazzini luccicavano di strass la vita dorata della metà capitalista, i caffè e i cabaret, le discoteche e le kneipe, i cinema e i teatri assorbivano personaggi allegri e rumorosi, nottambuli perduti nelle notti alcoliche di una mezza metropoli dove chi veniva a studiare era esente dal servizio militare, riceveva alloggi gratis e non pagava un marco di tasse universitarie. Ma l’anima vera della città si nascondeva dietro questo vestito abbagliante e risiedeva nella tristezza di una divisione innaturale e mai fino in fondo accettata.

I due angeli di Wenders, Damiel e Cassiel, si intrufolano dentro le vite perdute di personaggi allo sbando, umiliati nella routine di un lavoro che era precario anche allora, schiacciati dalla vita zingara per eccellenza, quella dentro il tendone di un circo, ghetto gitano dove rimbombano le risate forzate dei clown o dove si esercitano gli eroismi da baraccone di una trapezista. E pazienza se Wenders torna all’Europa dopo anni di Stati Uniti per raccontarne la malinconia, proprio alla vigilia di quegli sconvolgimenti storici e politici che modificheranno i contorni di quello stesso Continente e di quella stessa città. E pazienza se lo scrittore dei dialoghi del film, il romanziere comunista austriaco Peter Hanke non riconosce nelle macerie della metà occidentale il riflesso delle macerie morali di quella orientale, che di lì a poco tracimerà oltre il Muro con la sua povertà e la sua miseria alla ricerca di un benessere impossibile.

Pochi anni ancora e il cielo sopra Berlino sarà illuminato dai fuochi d’artificio della festa per la riunificazione, i grattacieli torneranno a svettare luminosi da Alexanderplatz e anche la Potsdamer Platz ritroverà semafori e palazzi, caffè e tram, se non più gli omnibus almeno le modernissime stazioni della metropolitana. Oggi Berlino è tutta un’altra cosa, presa come è dalla frenesia di cancellare il passato e costruire un futuro che è già presente. Ma qualche angolo della malinconia passata ancora resiste, in qualche cortile tra i vecchi palazzi sopravvissuti al ciclone della ricostruzione. Lì dentro, al riparo dal traffico metropolitano, si aggira sempre qualche Peter Falk alla ricerca di un pezzo della Berlino divisa.

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