La divina Provvidenza ci ha mandato Mario Draghi. Teniamocelo quindi stretto dov’è fino alla fine della legislatura. Perché c’è da rimettere in sesto un paese ancora esposto ai venti della pandemia. Come ha scritto Mario Tronti (il Riformista, 26 ottobre), non si tratta semplicemente di avere solide garanzie sul buon uso di risorse mai avute finora. Nel dopo Merkel, con Macron in bilico e con il Regno Unito fuori dall’Ue, solo una personalità con il suo prestigio può restituire all’Italia una posizione centrale in Europa. Una condizione necessaria per dare forza e credibilità a una non effimera stagione di riforme economiche, sociali e istituzionali. Dopo, a nazione risanata, la sinistra potrà candidarsi a governare il paese e potrà far meglio valere le sue istanze egualitarie. Del resto, è legge storica: non c’è redistribuzione senza, prima, accumulazione della ricchezza.
La Spd si appresta a guidare la Germania con i liberali e i verdi. Un modello di alleanze a cui il Pd dovrebbe guardare con attenzione, lasciando -come auspicato dallo stesso Tronti- gli ulivi là dove stanno, ossia nelle nostre belle colline. Beninteso, questo modello non è dietro l’angolo. Va costruito con pazienza e a piccoli passi. Qui entra in gioco il ruolo del partito di Berlusconi nella costruzione di un polo riformista di centro.
Quante frecce ha nel suo arco il Cavaliere che dispensa lezioni di realismo e moderazione? Sempre sul Riformista, un acuto commentatore politico come Michele Prospero ha provato a contarle. Intanto va detto che i cancelli della sua villa sull’Appia che si sono aperti per accogliere Salvini e Meloni ricordano il rigido inverno del 1077, allorquando l’imperatore Enrico IV attese per tre giorni e tre notti, scalzo e vestito solo di un saio, prima di essere ricevuto e perdonato dal Papa Gregorio VII, con l’intercessione di Matilde di Canossa. Una rivincita clamorosa del vecchio leader sui suoi amici rissosi e irriconoscenti. Sia chiaro, la promessa del loro sostegno per il Quirinale non ripaga certo Berlusconi delle umiliazioni subite, poiché si tratta di una investitura solo simbolica che serve più come un risarcimento d’immagine che a tirare davvero la volata verso il Colle. Forse, più che tagliarne il traguardo, gli interessa essere decisivo per l’elezione del successore di Mattarella.
In ogni caso, la domanda è: per quale prospettiva politica intende utilizzare il suo ritrovato potere di federatore? I ministri Carfagna, Gelmini e Brunetta chiedono di trasformare la sua creatura in una autonoma formazione della destra liberale, superando così la forma del partito-azienda e personale. L’altra strada è quella di adattarsi a un ruolo gregario nella destra sovranista, magari con la funzione di temperare le sue esuberanze contro Bruxelles. Tuttavia, se è vero che per certi versi il bipolarismo è una invenzione berlusconiana, adesso esso appare privo di mordente, svuotato da un decennio in cui tutti gli esecutivi sono sorti da alchimie parlamentari. Tanto vale allora restituire lo scettro al principe, e cioè affidare al sistema proporzionale l’assegnazione dei seggi e a una trasparente contrattazione postelettorale la formazione dei governi.
In questo senso, Berlusconi è chiamato a una scelta radicale: o continuare a essere il partner minoritario di una coalizione in cui Salvini e Meloni dettano l’agenda, e quindi battersi per lo scrutinio maggioritario; oppure se diventare un partito che negozia autonomamente nelle Camere, pienamente legittimato a definire maggioranze variabili, e allora insistere per un selettivo dispositivo proporzionale. Nel secondo caso, il futuro di Forza Italia come partito che muta pelle per durare oltre il capo-fondatore potrebbe somigliare molto a quello dei liberali tedeschi che, grazie al metodo proporzionale, dispongono di una ampia libertà di manovra tra i democristiani e i socialisti.