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I magistrati affondano sulle navi della Tirrenia e di Moby?

Le crociere galeotte dei magistrati sulle navi della Tirrenia e di Moby. I Graffi di Damato

Già coperti dal segreto istruttorio nella loro identificazione anagrafica, dei due magistrati coinvolti nelle indagini per corruzione ed altro, avendo viaggiato gratiscon un bel pò di ammiragli, altri graduati e funzionari civili su navi della Tirrenia e di Moby, non si sa neppure se siano fra quelli per i quali sono stati richiesti gli arresti domiciliari e/o la sospensione dagli uffici.

Il coinvolgimento dei due magistrati nelle indagini genovesi cominciate due anni fa è stato comunque quello che ha fatto più notizia nei titoli di prima pagina dei giornali. Né poteva essere diversamente in un momento in cui la magistratura, nelle sue rappresentanze sindacali e istituzionali, si sente accerchiata dal governo con la riforma che separa le carriere dei pubblici ministeri e dei giudici. E si lascia attribuire da una cultura e militanza giustizialista una “diversità” analoga a quella rivendicata per la sua parte politica da Enrico Berlinguer quando pose o scoprì la cosiddetta “questione morale” anche per motivare il ritiro della maggioranza di “solidarietà nazionale” realizzata fra il 1976 e il 1979 attorno a due governi monocolori democristiani guidati da Giulio Andreotti.

Quella “diversità” attribuitasi o lasciatasi attribuire dalla magistratura contribuì anche a permetterle negli anni di “Mani pulite” il famoso e “brusco cambiamento dei rapporti fra politica e giustizia”, a vantaggio della seconda, riconosciuto pubblicamente dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano scrivendone alla moglie di Bettino Craxi nel decimo anniversario della morte del marito ad Hammamet. Il leader socialista aveva ottenuto un trattamento di una “durezza senza precedenti” -parole sempre di Giorgio Napolitano- nei processi in tribunale e in quelli sommari che li avevano preceduti sui giornali e nelle piazze. Dove erano sfilati in migliaia, particolarmente a Milano, chiedendo all’allora sostituto procuratore della Repubblica Antonio Di Pietro e colleghi di sognare ancora di più con lo spettacolo manettaro.

Si disse e si scrisse già allora dai pochi sottrattisi alle mode culturali, mediatiche e politiche del giustizialismo che se ne sarebbe usciti assistendo agli arresti dei magistrati fra di loro. Ci stiamo arrivando?

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