Tra guerra vera e pace immaginifica l’Ucraina s’avvia a stabilire l’angosciante primato, il prossimo 24 febbraio, di tre anni di perdurante invasione militare e di quotidiana aggressione armata da parte delle truppe di Vladimir Putin.
Nell’ultima settimana ecco il primato del primato: 1.260 bombe aeree, quasi 750 droni e più di dieci missili sganciati dai russi contro la popolazione ucraina, come segnala a chi ha ancora gli occhi per vedere il presidente Volodymyr Zelensky.
Alla realtà dei fatti, anzi, dei drammi s’è riferito il nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, domandandosi quanto “funzionerebbe oggi tra Russia e Ucraina” la storicamente fallita politica dell’appeasement, come fu chiamata nel 1938. Ossia l’acquiescenza con cui l’Europa con la Conferenza di Monaco consentì a Hitler di violare i cardini del diritto e dell’altrui sovranità nazionale, annettendosi i Sudeti in territorio cecoslovacco quale anticamera della seconda guerra mondiale da lui poi scatenata.
Tre anni dopo, è ancora e sempre l’interrogativo posto da Mattarella e condiviso, con sfumature diverse, dall’intero Occidente a rivelare quanto sia complicato porre fine a una guerra che deve finire. Senza, tuttavia, concedere a Putin ciò che fu concesso a Hitler, cioè la presa d’atto che la violenza del prepotente in spregio alle norme di convivenza civile alla fine potrà, di nuovo, prevalere. Viene in mente l’amara riflessione di un altro russo, il grande scrittore Cechov: “Si dice sempre che alla fine la verità trionfa, ma non è vero”.
Chissà se Donald Trump, il presidente americano sul quale anche l’assediato Zelensky è oggi costretto a coltivare speranze in una svolta che non arriva, avrà mai letto Cechov. Certo è che ha parlato con Putin al telefono, riferendo che l’interlocutore “vuole che la gente smetta di morire”.
Sarebbe offensivo -per gli ucraini, innanzitutto- mettersi a ridere di fronte all’improvvisa compassione che Trump avrebbe scoperto in chi ha appena sganciato 1.260 bombe. Se Putin volesse evitare di far morire la gente, basterebbe che ordinasse ai suoi di non ammazzarla. Può farlo nel giro di dieci secondi e un primo tentativo di tregua potrebbe così profilarsi.
Ma la comica notizia rivelata da Trump nei panni del grande ingenuo non fa ridere nemmeno l’Europa. Che subito protesta per non essere stata coinvolta negli amorosi sensi fra Trump e Putin sul filo.
Com’è possibile che l’Unione dei 27, geograficamente, politicamente e militarmente alla frontiera dell’Ucraina, sia tagliata fuori dal solitario dialogo russo-americano? Com’è pensabile che l’aggredito non abbia alcuna voce in capitolo contro il suo aggressore? Com’è immaginabile arrivare in questo modo non a una pace, ma alla resa stile Monaco ‘38 di chi ha il solo torto d’aver difeso la sua Patria a costo della vita?
La via della pace è obbligatoria, “guerra e morte non vinceranno sui popoli”, come ha detto Papa Francesco.
Ma proprio perché la pace è una cosa seria, l’Europa e l’Ucraina devono essere co-protagonisti sulla scena. Altrimenti è sceneggiata.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova
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