La storia si prende sempre le sue rivincite sulla cronaca. E le ruba la scena, affollata di persone e di fatti della cosiddetta attualità. Alla immediata vigilia delle elezioni europee alla fine giocate col fiato sospeso su ciò che potrà poi accadere modestamente a Bruxelles per la successione alla presidenza della Commissione e dintorni, le celebrazioni degli 80 anni dallo sbarco in Normandia, preceduto da quelli dell’anno prima in Sicilia e di pochi mesi prima ad Anzio, hanno riproposto la dura, spietata realtà di un’Europa ora minacciata dalla Russia di Putin in guerra con l’Ucraina. Una Russia emula, insieme, dell’Unione Sovietica di Stalin e della Germania di Hitler, disgraziatamente unite nel 1939 nei preparativi della seconda guerra mondiale.
“Kiev, la nostra Normandia”, ha dovuto titolare realisticamente su tutta la prima pagina pure un giornale come La Repubblica, una specie di corazzata della flotta di carta schierata contro il governo di Giorgia Meloni. Che, per quanto piegatosi anch’esso ai condizionamenti elettorali con quel sostanziale rifiuto di un uso più libero ed efficace degli armamenti forniti all’Ucraina per difendersi dall’aggressione russa, sino a guadagnarsi un quasi elogio e ringraziamento di Putin, fa parte dello schieramento occidentale favorevole a Kiev.
La foto più significativa delle celebrazioni in Normandia è quella del presidente americano Joe Biden che saluta paternamente il presidente ucraino Zelensky riconoscente e fiducioso, e del presidente francese Macron che contemporaneamente ne saluta la moglie.
Defilato, rispetto a questa e ad altre immagini delle celebrazioni in Normandia, potrebbe sembrare il presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella. Ma è solo un’illusione ottica, perché sul piano politico Mattarella è stato ed è in Europa fra i sostenitori più tempestivi e convinti dell’Ucraina. Ancora nelle celebrazioni fresche di stampa dei 78 anni della Repubblica il presidente ha omesso di invitare al Quirinale la rappresentanza diplomatica della Russia. Della quale il presidente italiano non si lascia scappare un’occasione, dico una, per ricordare e denunciare pubblicamente la responsabilità dell’aggressione ad una Ucraina tanto nazificata, secondo le convinzioni e le accuse del Cremlino, da essersi incamminata sulla strada dell’adesione all’Unione Europea. Che evidentemente negli incubi di casa al Cremlino dev’essere “denazificata” anch’essa.
Non parliamo poi della Nato, dove il povero Silvio Berlusconi ancora presidente del Consiglio pensò 22 anni fa di portare anche Putin. O di farne quanto meno un interlocutore costruttivo nella difesa delle democrazie minacciate da dittatori e terroristi. Era ogni tanto, la buonanima del Cavaliere, non il furbissimo e spregiudicato avventuriero immaginato, temuto, contrastato dagli avversari, e trattato nei tribunali – ancora oggi, peraltro, da morto – come un delinquente seriale, ma un uomo troppo ottimista. Un ingenuo, diciamo così.