Matteo Salvini – nonostante i suoi quotidiani attestati di stima per il presidente del Consiglio – non sembra aver colto la vera missione che in termini di cultura politica ispira l’azione del governo Draghi, missione su cui ancora non si sono accesi i riflettori dei media.
A mio avviso, i primi sei mesi di governo e la comunicazione politica di Draghi hanno trasmesso in estrema sintesi il seguente messaggio.
La rinascita economica dell’Italia e il ripristino della fiducia tra cittadini e istituzioni richiedono un processo di moralizzazione della vita pubblica con l’obiettivo di una graduale, ma profonda, correzione dei comportamenti dei governanti, dei partiti politici e dei loro leader.
L’esperienza ha dimostrato che giustizialismo e populismo sono ideologie miopi che non portano da nessuna parte. In politica – questo il messaggio trasmesso da Draghi – serve, invece, un realismo pragmatico fondato su solide basi etiche.
Per decenni i giustizialisti “alla Travaglio” hanno pensato di delegare l’esigenza di una nuova etica pubblica ad una parte della magistratura inquirente (e al circuito mediatico ad essa collegato).
Non è così. Il rinnovamento della politica e dell’etica pubblica, per essere efficace e duraturo, deve coinvolgere direttamente i politici, i partiti, gli organismi di rappresentanza, le parti sociali, la cittadinanza attiva.
Il clientelismo è un vizio innegabile nel nostro paese; la corruzione dei costumi è un fenomeno da combattere, ma deve essere tenuto distinta dalla corruzione intesa come fattispecie di reato da perseguire penalmente.
Confondere i piani significa tornare alla logica dello stato etico. È peraltro un pericolo che non si trova solo nelle esternazioni di Grillo, Di Battista o Marco Travaglio.
Il ritorno allo stato etico caratterizza anche il populismo alla Orban, in antitesi alla cultura liberale a cui Matteo Salvini e Giorgia Meloni dichiarano di volersi ispirare.
Giustizialismo e populismo costituiscono gli “opposti estremismi” di oggi.
La novità del governo Draghi (e della riforma Cartabia che Giuseppe Conte ha già iniziato a picconare) è che la strada maestra per superare gli antichi vizi dell’Italia non passa dai circuiti giudiziari, ma da un cambiamento autentico dei comportamenti politici e da riforme vere.
Due personalita’ di grande esperienza come Bruno Tabacci e Renato Brunetta – a differenza di Matteo Salvini – hanno capito il nuovo clima politico innescato da Draghi e dalla novità del suo governo.
La rinuncia alle deleghe di Tabacci e la rinuncia alla collaborazione da parte di Renato Farina (ex agente Betulla) per non mettere in difficoltà il Ministro Brunetta sono decisioni emblematiche a questo proposito.
Queste sagge decisioni dovrebbero rappresentare, a mio avviso, un monito per Matteo Salvini, monito che a quanto pare continua, invece, ad ignorare di fronte al caso Durigon.
Per me è inammissibile che un esponente del governo (e per giunta sottosegretario all’ Economia) pronunci parole fortemente lesive del Corpo della Guardia di Finanza.
È evidente che un sottosegretario all’ Economia che dice: “Il Generale della GdF che indaga sui fondi della Lega lo abbiamo messo noi” dovrebbe aver da tempo pronunciato solenni parole di scusa o ancor meglio essersi dimesso dal suo incarico.
Come se non bastassero le esternazioni sulla GdF Durigon ne ha pensata una altra delle sue.
Vuole cancellare i nomi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino del parco di Latina per intitolarlo al fratello di Benito Musssolini.
La proposta è un’offesa alla memoria di due grandi italiani protagonisti della lotta contro la mafia a livello nazionale e internazionale.
Il 3 ottobre si avvicina e quello di Durigon è forse un tentativo maldestro di far concorrenza alla Meloni e cercare consensi alla Lega nelle più estreme fasce della destra laziale e tra i nostalgici del fascismo.
È lecito chiedersi se Durigon stia svolgendo il suo incarico con disciplina e onore come prescrive l’articolo 54 della Costituzione, ma è un interrogativo che per primo dovrebbe porsi lui.
La vera domanda è un’ altra. Perché Matteo Salvini non gli ha ancora chiesto di dimettersi?
Le dichiarazioni di Durigon sulla Guardia di Finanza e il suo progetto di cancellare I nomi di Falcone e Borsellino dal parco di Latina contrastano con i valori e la nuova etica pubblica che il governo Draghi cerca faticosamente di affermare.
Anche in vista delle elezioni del 3 ottobre il caso Durigon potrebbe trasformarsi in un boomerang per la Lega.