Giulio Meotti non ama le idee dominanti.
Appena ventenne, nel 2003, inizia a collaborare con Il Foglio – i primi leggendari anni, con i pezzi anonimi e il logos dell’Elefantino -, ove tuttora scrive.
Ha una newsletter e si esercita quotidianamente su Twitter (ora X): per la brevità, il tweet è forma eclettica, a tratti aforistica e anche epigrammatica.
I libri di Giulio Meotti, coraggiosi e solidi, privilegiano una prosa simmetrica, ricca di fonti e riferimenti: Meotti è un perfezionista, non lascia nulla al caso.
La sua ultima opera – dopo “Il dio verde” e i “Nuovi barbari” – è “Gender. Il sesso degli angeli e l’oblio dell’Occidente”, edito dalla benemerita Liberilibri di Macerata, con prefazione dello scrittore maudit Richard Millet.
Dice Millet: “L’oblio dell’essere, il compimento del nichilismo, è ciò che si annida e si diffonde nel gender”.
Il gender: manipolazione del sesso biologico e dell’identità di genere, sesso percepito e fluido e non binario. L’ideologia intende imporsi alla Natura, con sprezzo delle nostre facoltà mentali. Siamo nella cornice di “Brave new World” di Aldous Huxley, bizzarro e non più fantascientifico romanzo del 1939, ove la questione genetica ed eugenetica regola tutti i rivoli della vita dei post-esseri umani.
Moltissime le citazioni di Meotti: descrive innumerevoli esempi di oscurantismo, di sacrifici della logica e dell’intelletto. Il suo commento è severo: “Si va costruendo un regime culturale mentalmente carcerario, una grande prigione intellettuale”.
E poi: “Questa ideologia è applicata da parte di quegli uffici da burocrazia totalitaria che si occupano di diversità, equità e inclusione, e che spadroneggiano in tutto il mondo accademico”. “L’ideologia dominante fa passare per sciocchi, reazionari o psicopatici coloro che non la accolgono”.
Vengono alla mente la prosa vigorosa, quasi nietzschiana, di “Grande Ospizio Occidentale” dell’iconoclasta Eduard Limonov e le sottigliezze ed eleganze intellettuali del filosofo in maschera Boni Castellane.