Lo tradì il cuore un tempo fortissimo, quell’organo che aveva retto palpiti e tensioni nelle notti decisive della rivoluzione pacifica del 1989. Christian Führer, il pastore evangelico della Nikolaikirche di Lipsia, la chiesa da cui partivano le Montagsdemonstrationen, i cortei del lunedì che diedero la spallata decisiva al regime della Ddr, si spense ormai nove fa, quando di anni ne aveva appena 71. Accadde pochi giorni prima delle celebrazioni per il venticinquennale della caduta del Muro, uno di quegli appuntamenti della memoria nei quali il suo nome era come sempre il pezzo forte del cartellone.
Ora che si celebra sempre in minore pompa magna l’anniversario numero 33 della riunificazione tedesca – il 3 ottobre – si avverte però sempre più forte la mancanza di una figura come la sua. In questa Germania inquieta e sorprendentemente sempre più lacerata tra est e ovest, sono sempre meno gli uomini in grado di riprendere il filo rosso di una storia comune, uomini (e donne) di forza e di testimonianza come era Christian Führer.
È stato un grande europeo, un protagonista di quella stagione di svolta, un personaggio tuttavia meno conosciuto rispetto a leader come Vaclav Havel o Lech Walesa. Non è stato mai tentato di tradurre in politica il prestigio raccolto sul campo: era un prete, e tale è rimasto anche quando il coraggio che aveva infuso alla sua gente era passato di moda e la sua Nikolaikirche si svuotava, riducendosi a un sito cittadino buono per turisti della memoria.
Ma nella storia ci sono momenti, istanti, che diventano decisivi per il corso dei grandi eventi e qualche volta a interpretarli ci sono uomini semplici come Führer, il pastore dal cognome sfortunato. Lo avevamo incontrato nel 2009, quando Lipsia celebrava la sua fama di città degli eroi nel ventennale della caduta del Muro. Con la Bibbia sulle ginocchia, raccontava le notti di quell’autunno ormai lontano e le immagini tornavano vive di fronte agli occhi, sembrava di riviverle in diretta: i manifestanti asserragliati in chiesa, i loro respiri affannosi che scaldavano l’umidità fredda condensata sotto le navate, la paura della polizia, la solidarietà dei senza potere, la follia di immaginare che un’altra Lipsia, un’altra Germania e in fondo anche un’altra Europa fosse possibile.
Era anche allora un ottobre, quello del 1989. Un ottobre più umido e più freddo di quello dolce e temperato di quest’anno. La Stasi era ancora la Stasi, la polizia aveva carri armati e pistole, i duri della nomenklatura comunista non avevano abdicato all’opzione Tienanmen, la repressione sanguinosa. Ci voleva un tipo come Führer per non darsela a gambe, uno che credesse quasi fideisticamente che il mondo è popolato di esseri buoni e che il dialogo con l’avversario è sempre la strada vincente.
Pacifista questo Ghandi sassone minuto e dagli occhi saettanti lo era stato fin dagli inizi degli anni Ottanta, quando radunò attorno a sé gli attivisti del movimento contro i missili sul territorio delle due Germanie. Un movimento ambiguo, come tutti quelli autorizzati nella Ddr. Ma in quell’ambiguità nacque il seme della ribellione che meno di dieci anni dopo si sarebbe rivoltata contro il regime. E keine Gewalt, nessuna violenza, fu la parola d’ordine con la quale, nell’autunno che cambiò l’Europa, Führer tenne strette a sé le decine di migliaia di cittadini che gonfiarono i cortei settimana dopo settimana, fino a quel 9 ottobre che rappresentò la svolta di tutto.
“Alle cinque della sera la chiesa era piena”, ricordava Führer, scandendo le parole come fosse sempre la prima volta che raccontava quegli eventi intrisi di storia, “non tutti riuscirono a trovare posto all’interno, saremo stati almeno duemila, infiltrati da molti uomini della Stasi. L’avrò ripetuto non so più quante volte, keine Gewalt, nessuna violenza. Divenne il motto di quella giornata. Alla fine della predica ci guardammo negli occhi e decidemmo di aprire il portone. Fuori c’era altrettanta gente ad attenderci e i poliziotti non si fecero vedere. Decidemmo di muoverci e, appena imboccammo il grande vialone che circonda il centro storico avvenne il miracolo. C’era una folla immensa e ancor più ne arrivava da ogni strada, da ogni palazzo. Sembrava che l’intera città si fosse data appuntamento per il corteo, alla fine eravamo settantamila, un fiume irrefrenabile. La polizia si era ritirata, sfilammo pacificamente per tutto il percorso, anche sotto alla Runde Ecke, il palazzo della Stasi”.
Nessuna violenza, keine Gewalt: fu il miracolo di Lipsia. Anni dopo il capo della Stasi di Lipsia confessò: “Eravamo pronti a contrastare ogni oltraggio, ma non migliaia di candele”.