Nel pieno della bufera che scuote Volkswagen, cuore e simbolo di una delle peggiori crisi economiche della Germania dal dopoguerra, il governo reagisce con una mossa che sa di campagna elettorale. Anzi due. Anzi tre. Due sono i vertici con il mondo imprenditoriale andati in scena nella giornata di ieri. Vertici separati, di fatto concorrenziali. C’è stato quello con i boss della grande industria e con i sindacati, coordinato dal cancelliere Olaf Scholz, cui hanno partecipato anche spezzoni dell’industria automobilistica, oggi epicentro della crisi. E c’è stato quello organizzato dal ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner, con i responsabili delle piccole e medie imprese, il mitizzato Mittelstand, tradizionale ossatura dell’acciaccata prima economia d’Europa.
Solo il verde Robert Habeck, che poi sarebbe il titolare istituzionale della materia in quanto ministro dell’Economia, non ha invitato nessuno. E da nessuno è stato invitato. Ma per mitigare la solitudine, una settimana fa aveva spiattellato senza coordinarsi con nessuno addirittura un piano di sostegno e impulso all’industria, chiamato Deutschlandfonds, zeppo di incentivi pubblici per sanare le debolezze infrastrutturali del Paese (da quelle digitali a quelle dei trasporti) e assecondare con i denari dei contribuenti i costosi sforzi per la transizione energetica. Come se finora al governo ci fosse stato qualcun altro.
Tre proposte per una crisi. Non proprio un segnale di compattezza. Che è invece quello che chiedono gli industriali. Rifiutare inviti nei palazzi istituzionali non sarebbe stato un bel gesto, tanto più in un paese ossequioso come la Germania. Ma lo spettacolo dei tre principali esponenti della maggioranza che si fanno concorrenza tra di loro a meno di un anno dalle elezioni mentre la casa brucia suscita a un tempo rabbia e preoccupazione. E intanto il sindacato IG-Metall ha iniziato la sua serie di scioperi nell’industria metallurgica ed elettrica chiedendo un aumento salariale del 7% (ieri interessato anche uno stabilimento VW).
I principali rappresentanti del mondo imprenditoriale hanno lanciato l’allarme, esortando la coalizione di governo a concordare un approccio comune. Per stimolare l’economia chiedono di intraprendere un’azione unitaria e rapida. “I dati economici impongono di agire in fretta”, ha dichiarato Jörg Dittrich, presidente della Confederazione tedesca dell’artigianato specializzato, “è necessario un piano di governo comune, coerente e coordinato, non una tattica di partito o di campagna elettorale frammentata”. I colloqui in corso dovranno sottolineare la necessità di un concetto di politica economica che sia pienamente sostenuto dal governo, proseguono gli industriali. Per il direttore della Camera di Commercio e dell’Industria tedesca, Martin Wansleben, le imprese hanno riconosciuto pienamente la cattiva situazione economica: “Ora non serviranno discussioni generali, ma solo misure concrete. Primo, adottare il bilancio federale, secondo, accelerare finalmente la pianificazione, terzo, attuare concretamente l’iniziativa per la crescita”, il pacchetto di 49 misure annunciato un mese fa dal cancelliere, non del tutto messo a terra e secondo molti già insufficiente per rilanciare l’economia.
In verità quasi nessuno si attendeva dai vertici di ieri qualcosa di decisivo, se non nuovi buoni propositi e qualche cifra buttata qui e là. Quello di Scholz era peraltro esplicitamente consultivo, un giro di orizzonte con manager delle grandi imprese e sindacalisti principalmente del settore chimico e automobilistico, il milieu tradizionale dell’impresa che piace ai socialdemocratici. Tanto è vero che il cancelliere ne ha già previsto un secondo, a dicembre. Per essere cinici: per quella data probabilmente Volkswagen avrà già chiuso i tre stabilimenti annunciati lunedì. Ma a Scholz premeva rimarcare la propria leadership nella gestione della crisi industriale, e a Lindner sottolineare la sua vicinanza al mondo delle PMI. Che poi neppure queste apprezzino la sua cocciuta difesa del freno all’indebitamento, in una fase in cui si chiede allo Stato di investire il suo peso nella trasformazione strutturale dell’industria tedesca, è un discorso che interessa meno.
Così c’è anche qualcuno che esce dai binari della diplomazia. Come Lutz Kordges, portavoce dell’Associazione tedesca delle piccole e medie imprese (Bvmw). “Il cancelliere fa vertici, il ministro delle Finanze fa vertici, quello dell’Economia scrive documenti di stimolo”, ha detto, “e io posso capire chi dice: non riesco più a seguire tutto questo e non riesco più a prenderlo sul serio”.